Massimo Repetti
Sezione 1 1.1 Piano di ricerca 1.2 Metodologia di ricerca 1.2.1 Il campionamento 1.2.2 La procedura di raccolta delle informazioni
1.3 Definizione dell’oggetto di ricerca 1.3.1 Orientamenti dell’UE in materia di interculturalità 1.3.2 Orientamenti teorico-metodologici di trattamento della diversità culturale 1.3.3 Identificazione della nozione di “studi interculturali”
1.4 Aree di studio dell’intercultura nel mondo accademico 1.4.1 Educazione: la competenza interculturale della pedagogi 1.4.2 Educazione: la competenza interculturale delle scienze sociali 1.4.3 La mediazione interculturale ad orientamento socio-sanitario 1.4.4 La comunicazione interculturale 1.4.5 L’interculturalità nelle relazioni internazionali 1.4.6 Il management interculturale nella business internationalisation.
Sezione 2 2.1 Localizzazione dell’offerta nelle aree di studio 2.1.1 Educazione: la competenza interculturale della pedagogia e della ricerca universitaria 2.1.2 La mediazione interculturale nella sanità 2.1.3 La comunicazione interculturale 2.1.4 L’interculturalità nelle relazioni internazionali 2.1.5 Il management interculturale nella business internationalisation.
Sezione3 3.1 Bilancio tematico: collaborazione tra Università in reti transnazionali 3.2 Bilancio tematico: rilevazione di costanti ed elementi-guida 3.2.1 Aree di riferimento dell’approfondimento teorico-metodologico 3.2.2 Costanti delle formazioni interculturali 3.2.3 Criticità delle formazioni interculturali
3.2.4 Proiezioni future delle formazioni interculturali
3.3 Bilancio tematico: caratteri di buona pratica 3.3.1 Strumenti di valutazione della consapevolezza interculturale 3.3.2 Criteri di scelta della“buona pratica” formativa Bibliografia
Sezione 1: caratteri dell’intercultura nel mondo accademico dell’unione europea
1.1 piano di ricerca Questo studio, riferito alla programmazione e alle formazioni interculturali dispensate nelle Università dell’Unione Europea-25, cerca di definire il concetto di “buona pratica interculturale” e di presentarne qualche esempio avente corso nel 2005/2006 nelle Università dell’Unione Europea-25. Esso presenta in successione: - la definizione dell’oggetto di ricerca, in accordo alla politica dell’Unione Europea-25 in materia di interculturalità ed alle linee teorico-metodologiche delle discipline accademiche e (cfr. 1.3.1 e 1.3.2); - la problematizzazione dell’oggetto di ricerca, ossia la definizione della nozione di pratica interculturale (1.3.3); - l’individuazione delle principali aree di formazione interculturale rilevate nelle Università dell’Unione Europea-25 (1.4) ed una selezione dei soggetti universitari operanti nelle aree (2.1); - la problematizzazione dell’oggetto di ricerca, ossia la definizione di buona pratica interculturale;
Infine, in coerenza col progetto di definizione della nozione di “buona pratica” compatibile con l’evoluzione delle teorie interculturali e con le indicazioni legislative (accennate in 1.3.1 e 1.3.2) si è cercato di tracciare: - un bilancio tematico relativo alle esperienze teorico-metodologiche rilevate nelle formazioni interculturali dispensate nelle Università dell’Unione Europea-25 ( 3.1); - completato dall’analisi delle migliori esperienze in termini di novità teorica e di efficacità sociale, in relazione alla definizione dell’oggetto di ricerca ed alla problematica di ricerca (3.2). Il focus è stato posto sulla descrizione dell’esperienza formativa, nonché sulla loro comprensione secondo l’impostazione dell’Università (punto di vista interno) e secondo il focus del ricercatore (punto di vista esterno).
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1.2 Metodologia di ricerca 1.2.1 Il campionamento Si è preferito procedere alla recensione delle formazioni interculturali dispensate nelle Università dell’Unione Europea-25 per campionamento e inchiesta piuttosto che riprendere le banche dati esistenti al fine di non ripetere dati già noti e apportare, se possibile, elementi di novità. La popolazione-madre del presente studio è costituita da 781 Università e Colleges dell’Unione Europea-25 (fonte: Harvard University e Academic Australian Agency AAA Science Network). Da tale popolazione-madre è stata estratta una ampia base di ricerca costituita da 331 Università (ossia il 42,4% della popolazione-madre) che esclude gli Istituti minori e quelli a vocazione non attinente alle formazioni interculturali (quali tecnologica, militare, agraria ecc). I centri di ricerca sono stati inclusi nella base di ricerca come afferenti alle Università. Dalla base di ricerca è stato selezionato un campione di 80 formazioni interculturali dispensate nelle Università dell’Unione Europea-25, campione corrispondente al 24,2% della base di ricerca. Quattro criteri hanno guidato la scelta di questo campione: a) la formazione si inscrive negli orientamenti teorico-metodologici rilevati più frequentemente nell’orizzonte europeo degli intercultural studies e cross-cultural studies, con esclusione del campo di ricerca multiculturale. b) la formazione soddisfa un bisogno identificato nel Paese sede dell’Università; c) la formazione è attiva o in costituzione al momento della redazione della ricerca; d) la formazione dimostra la propria efficacia attraverso la partecipazione di docenti specializzati oppure è valutata positivamente da esperti indipendenti. Un campione ridotto di 54 formazioni è stato poi suddiviso per settore di attività e presentato in Sezione 2 e espresso in forma di database (Allegato 1). Le selezioni dalla base di ricerca sono avvenute in base a tre parametri: coerenza interna del programma di studi, qualità dell’insegnamento, ampiezza dell’utenza; e sono rappresentative dei principali settori di programmazione e di formazione interculturale dispensati nelle Università dell’Unione Europea-25.
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1.2.2 La procedura di raccolta delle informazioni La procedura di raccolta delle informazioni è avvenuta telematicamente. Gli accessi sono avvenuti dal 15 novembre 2005 al 5 febbraio 2006. Sono stati presi in considerazione solo attività quali formazioni universitarie in corso e partecipazione a progetti pluriennali non precedenti il 1 gennaio 2003. Questo modo operativo è possibile solo se le competenze linguistiche coprono l’insieme della zona oggetto di studio. Il che è avvenuto con l’eccezione della zona geografica definita come Europa dell’Est, dove la raccolta di informazioni ha potuto svolgersi solo dove le pagine web erano presentate anche inglese o in tedesco, con l’eccezione quindi per 25 Università in Lituania, Slovacchia, Ungheria, Polonia, Bulgaria, Romania (non comprese pertanto nella base di ricerca). Le pagine sono state lette direttamente (in inglese, francese, spagnolo, italiano) o tradotte con software (dal tedesco, greco, portoghese, olandese). È stata eseguita una integrazione di informazioni attraverso un approccio dialogico di data gathering (interviste di follow-up via e-mail e conversazioni conseguenti) soprattutto per il campione di 54 formazioni interculturali . Questa procedura di raccolta delle informazioni corrisponde ad un approccio sociologico che intende «… strives to highlight the features or attributes of social life. This is true whether the latter is perceived as a set of interactions, as common behavior practices, or as structures» (Hamel, 1993, p. 2). Benché le esperienze presentate in Sezione 3 non siano scientificamente generalizzabili nel senso attribuito dalle scienze sociali ai case-studies, l’autore spera che questi esempi in corso nel periodo 2004-2006 nelle Università dell’Unione Europea-25 possano risultare interessanti per il loro potere evocativo di processi e di azioni interculturali.
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1.3 Definizione dell’oggetto di ricerca Preliminarmente all’esplorazione del campo di ricerca, è stato eseguito un progetto di definizione della nozione di “studi interculturali” attraverso la ricognizione della letteratura esistente in materia e dei documenti programmatici dell’Unione Europea. Tale definizione teorica, importante perchè permette di definire la cornice di ricerca, si è resa necessaria in ragione della polisemia del termine “studi interculturali”. Poiché ancorata alla pratica sociale e generata dalle disfunzioni nelle relazioni che attraversano il corpo sociale, la nozione di " interculturale " appare come caratterizzata da una grande elasticità semantica. Nelle Università dell'Europa-25, all’“interculturale" corrispondono una molteplicità di campi d’applicazione (cfr. 1.4) ed una diversità di orientamenti teorico-metodologici di trattamento della diversità culturale (cfr. 1.3.2). La definizione della nozione di “Studi interculturali” che servirà come orientamento dell’oggetto della ricerca verrà elaborata dapprima evocando brevemente le linee-guida dell’UE (cfr. 1.3.1), per poterne verificare la convergenza con lo specifico set di interazione tra le Università e la cornice teorico-metodologica costituita dai numerosi orientamenti degli studi interculturali.
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1.3.1 Orientamenti dell’UE in materia di interculturalità Di formazione plurale, l’Unione Europea è cosciente che la propria unità non è in contraddizione col rispetto delle sue diversità. L’Unione Europea favorisce il dialogo tra i diversi gruppi culturali moltiplicando le occasioni di scambio e di collaborazione tra i cittadini. Il concetto di educazione interculturale dell'Unione Europea si riferisce soprattutto alle azioni intese a favorire l'integrazione scolastica e il mantenimento delle origini culturali dei figli dei migranti, e trova legittimità in un arco significativo di Raccomandazioni, Risoluzioni dell’Unione Europea e documenti programmatici sovranazionali, in particolare come volontà di concedere spazio nell’insegnamento alle lingue e alle culture dei migranti, secondo i principi del pluralismo e della valorizzazione delle differenze culturali che sono oggi riconosciuti come un obiettivo sociale, necessario al processo di costruzione identitaria individuale e collettiva associato ad una valorizzazione degli scambi culturali (Parlamento Europeo 1993; rapporto Porcher al Consiglio d'Europa, 1986; C.E.E, 1977 ; Commissione Europea, 1995 e 1997). I riferimenti più attuali sono oggi l'articolo 126 del Trattato di Maastricht e, a livello operativo, il capitolo Comenius del programma Socrates sull'istruzione. Essi recepiscono: 1. la coerenza della rappresentazione di sé stessa che la Comunità Europea propone, ossia un progetto di costruzione permanente della società, accettato e mantenuto da tutti i cittadini; 2. l’orientamento prevalente delle scienze sociali, che rileva come i gruppi sociali non siano mai totalmente isolati, ed intrattengano piuttosto rapporti cogli altri gruppi; il che favorisce la consapevolezza delle specificità, degli scambi, dei prestiti culturali ed una costante trasformazione.
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1.3.2 Orientamenti teorico-metodologici di trattamento della diversità culturale La ricerca condotta per Interculture Map rileva che esistono nelle Università dell’Europa-25 quattro principali modelli di gestione della diversità culturale: 1. il modello multi-culturale (multicultural studies) ad es. gli insegnamenti Diversity and multicultural leadership e di Multiculturalism and Society presso il Viestintätieteiden Laitos /Dipartimento of Communicazione dell’Jyväskyln Yliopisto /University of Jyväskylä, Finlandia; o di Multiculturalism and identity in contemporary civilisation presso l’Uniwersytet im Adama Mickiewicza, Polonia ; 2. i trans-cultural studies: l’Undergraduate Course Introduction to Trans-Cultural Studies dell’University of Manchester, e il Research Centre for Transcultural Studies in Health della Middlesex University; 3. l’orientamento interculturale (Intercultural studies e cross-cultural studies) cui la ricerca fa principalmente riferimento.
Questa polisemia corrisponde spesso ad una tradizione in termini di universo culturale-linguistico anglofono, germanofono e francofono, come dimostrano le analisi di Krewer e Dasen (1993) confermate in altro orizzonte culturale da Camilleri e Vinsonneau (1996). Il mondo accademico anglofono è caratterizzato dalla compresenza di cross-cultural studies e di intercultural studies. Anche lo spazio germanofono è caratterizzato dalla stessa compresenza di kulturvergleichende (comparazione culturale) e di interkultur. E nel campo francofono, si ritrovano gli orientamenti interculturel et multi-culturel. Ma mentre cross-cultural studies e studi interculturali appaiono sostanzialmente coincidere, sono apparse sostanziali discordanze tra gli approcci multiculturale e interculturale, operanti secondo concezioni radicalmente differenti della società. Un primo obiettivo appare pertanto l'operare una distinzione tra i differenti prefissi: cross-, multi-, inter-, trans-culturale. torna su^
1.3.3 Identificazione della nozione di “studi interculturali” L’orientamento multiculturale è un modello di ispirazione anglosassone che mette l'accento sul riconoscimento e sulla coesistenza di entità culturali distinte, dando la precedenza al gruppo d'appartenenza. L'individuo è anzitutto un elemento del gruppo e l’identità comunitaria prevale sull'identità singolare (Taylor, 1994). Attribuendo grande importanza al riconoscimento delle differenze etniche, religiose, sessuali, ecc. il multiculturalismo sovrappone i gruppi dando luogo ad una concezione della società a mosaico dove l’enfasi sulla categorizzazione di gruppo crea una frontiera d’inclusione nel/esclusione dal gruppo. Si tratta di una situazione di fatto potenzialmente conflittuale perché comporta rischi d'esclusione sociale. In una visione coerente con i propositi della ricerca Interculture Map, ci è parso opportuno non includere nella relazione l’orientamento multiculturale. Altri due orientamenti di gestione della diversità, il trans- e il meta-culturale, non vengono presi in carico dalla ricerca, perché di minore diffusione nel contesto accademico europeo. Il primo indica un approccio "che attraversa", che trascende la singolarità e la specificità delle culture. L’espressione "metaculturale" invece indica una sorta di sovra-cultura. Se la multiculturalità appare essere categoria analitica della coesistenza di culture diverse, del loro controllo e della loro regolamentazione, l’interculturale è categoria programmatica. L'interculturale focalizza il proprio interesse più sull'individuo che sulle sue caratteristiche culturali. In quest’ottica, l’incontro con l’Altro è innanzitutto e semplicemente l’incontro con un'altra persona con caratteristiche proprie. La competenza interculturale non vuole identificare l’Altro attraverso una rete di significati, né stabilire comparazioni etnocentrate. Per Geert Hofstede (1997) pensare l’interculturalità equivale ad immaginare un processo che, nel porre in interazione individui o gruppi appartenenti a sistemi culturali eterogenei, cerca di creare un quadro di dialogo dove le differenze sono integrate ed accettate. Ponendosi quindi come obiettivo lo studio del contatto tra gruppi culturali differenti, la ricerca interculturale avvicina il suo approccio all’acculturation, che studia i processi messi in moto dall'incontro di persone di diversa origine culturale; e al cross-cultural, che analizza l'oggetto di studio in più culture. Il prefisso "inter" indica una predisposizione all'interazione fra culture differenti, gli individui e le identità. Quindi, l’interculturalismo è una pratica ed un atteggiamento, non l’analisi di una realtà oggettiva quale, ad esempio, il rapporto tra migranti ed istituzioni di accoglienza o la compresenza di comunità culturali. L'approccio interculturale è una competenza che permette di dialogare con l’Altro (con una persona di nazionalità, di cultura diverse) con l'obiettivo d’imparare come svolgere l’incontro e non d’impararne la cultura. Come scrive Martine Abdallah-Pretceille (1996): «l'interculturale è soprattutto una pratica; è rispetto a questa che occorre situarsi e cercare di concettualizzare e teorizzare l'interculturale». Ponendo l’accento sull’interazione scevra da etnocentrismo, può bene applicarsi a settori diversi, dall’accesso scolastico dei bambini alle prospettive del business internationalisation.
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1.4 Aree di studio dell’intercultura nel mondo accademico La grande elasticità semantica che caratterizza la nozione di "interculturale" copre un notevole numero di oggetti e aree di studio. Questo perché negli ultimi anni gli operatori di un’ampia varietà di settori scientifici, professionali ed accademici hanno compreso l'importanza delle relazioni interculturali nel loro lavoro. Il campione di 80 Università estratto dalla base di ricerca costituita da 331 Università dell’Europa-25 rileva la presenza di orientamenti interculturali in cinque grandi settori di specializzazione di attività professionale: 1. Educazione e formazione: pedagogia e didattica, ricerca universitaria 2. Mediazione e regolazione sociale, Mediazione nel campo socio-sanitario 3. Comunicazione interculturale: giornalismo e mass-media, comunicazione d’impresa (business communication); 4. Relazioni internazionali: studi diplomatici, diritto, cooperazione internazionale 5. Management interculturale (Intercultural Management): marketing, gestione d’impresa, gestione risorse umane, gestione di patrimoni turistici, culturali e naturali, business internationalisation, lingue.
Gli orientamenti teorici di ogni settore di specializzazione verranno qui evocati prima di presentare in Sezione 2 i contenuti dei cinque settori di specializzazione a vocazione professionale delle Università dell’Europa-25. torna su^
1.4.1 Educazione: La competenza interculturale della pedagogia La ricerca condotta per Interculture Map rileva che gli insegnamenti di pedagogia interculturale nelle Università dell’UE-25 si ispirano generalmente alla scuola costruttivista. Basata sulle interazioni e sulla mediazione, la corrente costruttivista ha trasmesso alla pedagogia interculturale l’importanza degli approcci multidisciplinari, della mediazione e della metodologia di gruppo. Per Cristina Allemann-Ghionda (2000) il contributo fondamentale del’educazione interculturale alla pedagogia generale consiste nella valorizzazione della categoria del pluralismo, nelle sue diverse dimensioni (sociale, individuale, culturale, educativa). Una pedagogia interculturale è una pedagogia della co-costruzione delle conoscenze nella quale i “formatori" ed i "formati" sono insieme autori di nuovi significati e pratiche. In questa prospettiva, la pedagogia interculturale «decostruisce» le visioni essenzialiste dell’identità e della cultura, lotta contro l’«etnicizzazione» dell’altro e cerca di facilitare la transizione verso l’etnorelativismo, promuovendo il rispetto e la ricerca delle differenze. Martine Abdallah-Pretceille (2004) definisce una pedagogia interculturale il cui obiettivo «serait de saisir l'occasion offerte par l'évolution pluriculturelle de la société pour reconnaître la dimension culturelle, au sens anthropologique du terme, de toute éducation, et d’introduire l’Autre et plus exactement le rapport à l'Autre, dans l'apprentissage. La reconnaissance d'autrui passe par l'acceptation de soi et réciproquement, encore faut-il que le Moi soit lui-même l'objet d'une véritable reconnaissance en tant qu’un parmi le multiple ».
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1.4.2 Educazione: La competenza interculturale delle scienze sociali L’approccio “sociologico” tende a collegare la tematica interculturale alle problematiche fondanti la società moderna (industriale) e post-moderna (società dell’informazione): la formazione e l'impatto delle diseguaglianze sociali, i processi interattivi di socializzazione, la Relational Communication in Groups (l’influenza dell’eterogeneità dell’appartenenza a gruppi diversi sulle dinamiche relazionali). L’approccio antropologico tende a collegare la tematica interculturale: 1. alla comprensione dei fenomeni migratori; 2. all’approccio alle diversità etnico-culturali e ai fenomeni collegati (stereotipi, pregiudizi, discriminazioni, razzismo); 3. allo studio della marginalità sociale e all’etnopsichiatria. In particolare, l’antropologia offre la definizione di cultura generalmente adottata nelle problematiche interculturali: ossia l’insieme dei tratti distintivi che caratterizzano il modo di vita di una comunità; ed affronta anche la principale preoccupazione epistemologica della ricerca interculturale, ossia quella relativa al problema della costruzione di un sapere relativo all’Altro. Al riguardo Laplantine (1995) «Nous ne sommes jamais des témoins objectifs observant des objets, mais des sujets observant d’autres sujets», analogamente alla psicologia dello sviluppo cognitivo (Lautrey & Rodriguez-Tomé, 1976) che distingue l’osservato dall’osservante. Nel complesso, queste impostazioni teorico-metodologiche governano la competenza interculturale nelle Facoltà di scienze sociali dell’UE-25. La formazione impartita permette di rendere consapevole ogni situazione d’interazione, al fine di evitare il rischio, qualificato come «sociologia naïve» da Sperber & Hirschfeld (1999), di una proiezione etnocentrata dovuta ad una gestione malaccorta della dinamica tra rappresentazioni del ricercatore interculturale e situazione sociale osservata (Dasen, 2001). Rischio tanto più vivo quanto alcuni concetti-chiave della ricerca interculturale sono costruzioni storico-culturali: non esiste razza in sé (Segall, 1999), etnia in sé (Breton, 1992) e cultura in sé (Amselle, 2001).
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1.4.3 La mediazione interculturale ad orientamento socio-sanitario La ricerca condotta nelle Università dell’UE-25 rileva che le formazioni di psicologia interculturale (Cross-Cultural Psychology, psychologie interculturelle, etnopsichiatria) focalizzano gli studi dei comportamenti culturali, dei processi d'acculturazione, dei modelli di comprensione dell’alterità culturale. La psicologia interculturale studia i contatti tra gruppi culturali e la diversità culturale in maniera comparativa (approccio comparativista) e no (approccio culturalista). In sintesi, gli approcci psicosociologici studiano come si costruisce una intersoggettività interculturale (ossia: comprensione e rappresentazione della complessità dell’interazione tra due attori di culture differenti), al fine di permettere un rapporto con l’Altro consensuale e finalizzato a migliorare il potenziale di integrazione reciproca. In particolare, la psicologia interculturale appare essere lo studio delle relazioni e del repertorio di comportamenti che si vengono a stabilire tra individui educati in culture diverse. Alcuni psicosociologi lavorano sul contenuto di una singola cultura (a seconda dell’orizzonte cultural-linguistico: psicologia culturale, psychologie culturelle; cultural psychology, indigenous psychology), altri effettuano paragoni tra culture (psychologie interculturelle comparative; crosscultural psychology); altri ancora lavorano con gruppi etnici all’interno di società culturalmente plurali: psychologie interculturelle; acculturation psychology; e tutti cercano di fornire una comprensione di queste culture-behavior relationships. Di fronte alla crescente diversità linguistica e culturale della popolazione europea, il principale campo di applicazione della psicologia interculturale appare essere nel campo sanitario dove, adottando principi dell’antropologia, costituisce un campo di studi e di attività che si occupa di integrazione ed identificazione etnica, assimilazione, segregazione, marginalità.
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1.4.4 La comunicazione interculturale La ricerca effettuata rileva che le formazioni universitarie di comunicazione interculturale nell’UE-25 propongono un’analisi pratica e conoscitiva della percezione, della comprensione e della rappresentazione di una situazione d’interazione postulata tra attori di culture diverse. Questo perché la "comunicazione interculturale" nasce dalla concezione di cultura (sviluppatasi negli anni ‘30 nel contesto statunitense come effetto dell’influenza esercitata dalla psicologia sull'antropologia) non come un'entità in sé, ma come parte cognitiva del comportamento umano. La tendenza generale punta sull’efficacia della formazione nello sviluppare le diverse componenti della competenza interculturale nelle professioni operanti nei settori del giornalismo, mass-media, pubblicità, lingue, comunicazione d’impresa (business communication). Dal punto di vista teorico-metodologico, è risultato importante l’approccio socio-linguistico, incentrato su ogni tipo d'interazione verbale, discorso, testo (lato sensu), che esprima e che veicoli la percezione e comprensione di una cultura da parte di un'altra cultura. Questo perchè la padronanza delle forme linguistiche non è sufficiente per la comunicazione in un contesto pluriculturale. Le strutture formali di una lingua sono considerate quali semplici vettori e, a lato della superficie tangibile di una condivisione linguistica, possono esistere malintesi culturali, norme di comportamento e valori culturali non condivisi o divergenti. torna su^
1.4.5 L’interculturalità nelle relazioni internazionali L’essenza dell’attività diplomatica poggia sulle relazioni tra Paesi e popoli. Ora, le società contemporanee sono ormai tutte pluriculturali perché contatti ed ibridazioni culturali esistono da sempre e presso tutte le società (Cuche, 2002; Gruzinski,1999). La ricerca nelle Università dell’UE-25 rileva che l’approccio interculturale alle relazioni internazionali privilegia un’ottica pluridisciplinare e si sviluppa all’interno di corsi in studi diplomatici, geografia umana, diritto, cooperazione internazionale. Esse propongono un insieme di riflessioni e di pratiche sui rapporti culturali tra l’uomo ed il suo contesto socio-politico. Nel loro insieme, le prospettive interculturali negli insegnamenti di relazioni internazionali si muovono secondo un approccio universalista al pluralismo culturale, definito come “intercultural public sphere” che analizza come le culture s’impegnino in una dialettica di mutua comprensione e critica. In concreto le formazioni promuovono l’importanza della cultura e dell’espressione democratica, e sostengono i diritti e le libertà fondamentali, la risoluzione dei conflitti, il peacebuilding. È in corso di formazione una epistemologia per una teoria giuridica interculturale (Social Legal Studies e Intercultural Legal Studies) attraverso un approccio dialogico ai Diritti dell’Uomo.
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1.4.6 Il management interculturale nella “business internationalisation” L’apertura di nuovi mercati induce le compagnie internazionali ad inserire la competenza culturale nelle loro strategie, per minimizzare il conflitto culturale del personale impiegato nel contesto ospite. La cultural awareness ha inoltre applicazioni nell'efficacia organizzativa d’impresa. La formazione in intercultural management analizza come le specificità culturali intervengono in alcune situazioni d’impresa come il marketing internazionale, la strategia e la comunicazione d’impresa, la gestione delle risorse umane, il management d’impresa. Il management interculturale o cross-cultural management permette di trarre partito della diversità culturale piuttosto che di subirla. La ricerca condotta nelle Università dell’UE-25 rileva che sono specialmente le formazioni nell’area culturale anglosassone ed olandese ad operare per la formazione interculturale in situazioni d’impresa. In un’ottica interculturale e pragmatica, studiano le Diversità Culturali (nazionali e d’impresa) e il loro impatto sui processi d’interazione sociale, cercando di individuare le forme di management più appropriate. Si occupano di intercultural business communication, intercultural understanding nella comunicazione tecnica, Management Learning, Intercultural Competence on Identity-based Conflicts. Queste formazioni si adattano a tutti gli aspetti di business e management che coinvolgono le differenze interculturali e di stile di comunicazione, quindi anche alla gestione del patrimonio turistico, culturale e naturale.
Alla breve esposizione degli obiettivi che costituiscono il quadro teorico degli studi interculturali, segue ora la localizzazione delle formazioni e la presentazione dei contenuti generali.
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Sezione 2 2.1 localizzazione dell’offerta nelle aree di studio
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2.1.1 Educazione: la competenza interculturale della pedagogia e della ricerca universitaria Nel settore della pedagogia e della ricerca scientifica delle Università dell’UE-25, la raccolta-dati rileva una proposta formativa che si propone, in un’ottica pluridisciplinare, di: • relativizzare il quadro di riferimento degli studenti, favorendo la transizione dall’etnocentrismo all’etnorelativismo ; • sviluppare negli studenti la capacità d’osservazione e di ricerca di soluzioni innovanti nei loro settori professionali, attraverso la conoscenza e la valorizzazione delle differenze culturali.
Nel settore dell’educazione e della ricerca coesistono due principali orientamenti formativi, rivolti rispettivamente: • alla costituzione di strumenti di collaborazione tra Università volti ad assicurare lo scambio di competenze tra università, e creare un sistema universitario omogeneo; • alla definizione e allo sviluppo teorico-metodologico di strumenti per la pratica dell’interculturalità nel settore professionale dell’insegnamento. Al proposito si segnalano in particolare alcuni esempi di:
Collaborazione tra Università:
1. Il progetto ERASMUS sostenuto dalla Commissione Europea ERIC -European Resources for Intercultural Communication , gestito dalla Fachhochschule Köln (Germany). 2. Il “Master in Intercultural Communication” (EMICC) gestito dalla Jyväskylän Yliopisto - University of Jyväskylä (Finland), che raggruppa le formazioni interculturali di 9 Università europee (una di esse non-UE). 3. Il progetto Comenius 2004/2006 EMIL- Europäisches Modularprogramm für interkulturelles Lernen in der Lehreraus und fortbildung (Grundschulpädagogik) promosso dall’Institut für Interkulturelle Kommunikation der Ludwigmaximilians-Universität München (Germany); viene presentato in Sezione 3 quale esempio di buona pratica in pedagogia e di collaborazione nella ricerca scientifica . 4. Il progetto Comenius 2004/2006 Entwicklung interkultureller Kompetenz durch Sport im Kontext der Erweiterung der Europäiischen Union promosso dall’Albert-Ludwigs- Universität Freiburg Im Breisgau (Germany); 5. Il progetto Comenius 2005/2007 MENON: Developing Dialogue Trough Philosophical Inquiry promosso dall’Universita ta Malta.
Sviluppo di strumenti interculturali per il settore dell’insegnamento:
6. L’Universidad de León (Spain) che offre una Formazione universitaria PhD in pedagogia (Psicología Y Ciencias de la Educación) presso il Departamento de Filosofía Y Ciencias de la Educación, Facultad de Filosofía y Letras ; 7. Il Diplôme DU in “Magistère de sciences sociales appliquées à l’interculturel dans les organisations, la consommation et l’environnement” presso l’Université René Descartes-Paris 5, Faculté des sciences humaines et sociales (France);
Corsi di Intercultural dialogue all’interno di programmi di studio a livello Master o Master od Arts (M.A.) sono attivati: 8. in Polonia presso il Collegium Polonicum w Slubicach della Uniwersytet im. Adama Mickiewicza; 9. in Germania presso l’Institut für Migrationsforschung und Interkulturelle Studien (IMIS) dell’Universität Osnabrück; 10. in Austria presso l’Universität Salzburg Katholisch-Theologische Fakultät, Institut für Theologie Interkulturell und Studium der Religionen; torna su^
2.1.2. La mediazione interculturale nella sanità Nel settore delle formazioni in mediazione interculturale ad orientamento socio-sanitario, la raccolta-dati nelle Università dell’UE-25 rileva un insieme di riflessioni e di pratiche volte alla gestione delle situazioni di contatto interculturale e d’identificazione etnica. L’istituzionalizzazione degli approcci interculturali nella mediazione consente di favorire lo sviluppo di azioni locali nel campo dell’integrazione sociale dei migranti che si confrontano ad aspettative sociali complesse. Esitono due principali orientamenti: • mediazione interculturale ad orientamento sociale, che opera nei campi dell’integrazione, dell’assimilazione e della marginalizzazione. • mediazione interculturale nella sanità, che opera nei campi psico-sociale e etnopsichiatrico.
Mediazione interculturale ad orientamento sociale: Tutti i ricercatori contemporanei che si interessano alla mediazione interculturale ad orientamento sociale rilevano che, in una prospettiva teorica, i cross-cultural studies e la psicologia culturale appaiono essere i due principali strumenti di analisi delle relazioni in contesti di interazione quotidiana tra individui di culture diverse (Laplantine, 1995).
Mediazione interculturale nella sanità: Si può identificare nel modello dell’etnopsichiatria (Métraux e Alvir, 1995; Nathan, 1994) l’elemento alla base dell’orientamento interculturale nella sanità. Come noto, l’etnopsichiatria sviluppa un approccio socioculturale della malattia mentale che adatta il quadro terapeutico alle rappresentazioni culturali dei pazienti. È una terapia in presenza di un mediatore della stessa origine culturale del paziente, che col duplice importante ruolo di traduttore e di referente culturale viene considerato co-terapeuta e assume la funzione d’informare lo psichiatra europeo sulle rappresentazioni e sulle pratiche culturali relative alla malattia ed alla cura proprie alla cultura del paziente.
Si segnalano in particolare alcuni esempi di: Mediazione interculturale ad orientamento sociale:
• Il Postgraduate Degree (MA) “Psychosocial Assistance and Psychotherapy“ presso la Facoltà di Psicologia e di Scienze dell’Educazione della Alexandru Ioan Cuza Universiteia (Romania). Il MA prevede insegnamenti in “educazione interculturale” e in “mediazione dei conflitti”. • La formazione Pós-Graduação “Mediação Intercultural aplicada ao Serviço Social” presso la Universidade Internacional (Portogallo); • La formazione “DIU européen en médiation” presso l’Institut de psychologie dell’Université René Descartes -Paris 5 (Francia);
Si segnala, in particolare, quale esempio di Collaborazione tra Università • Il progetto Comenius 2003/2005 REBELS Race and Ethnicity Based Education: Local Solutions promosso dall’Hogeschool van Utrecht, Faculteit Educatieve Opleidingen (Olanda)
Mediazione interculturale nella sanità:
• La formazione “Master en Psychologie, Spécialité Psychologie du développement socio-cognitif et des pratiques interculturelles” dell’ Université Lumière Lyon 2 (Francia); • La formazione DU “Pratiques professionnelles en situations interculturelles” (in collaborazione col Centre de formation continue) presso l’Institut de psychologie dell’Université René Descartes -Paris 5 (Francia); • La formazione DESS “Clinique et psychopathologie interculturelle” presso l’Institut de psychologie dell’Université René Descartes -Paris 5 (Francia); viene presentato in Sezione 3 quale esempio di buona pratica in mediazione interculturale ad orientamento socio-sanitario
Si segnala, in particolare, quale esempio di Collaborazione tra Università: • Il Master “Analisi, approcci, applicazioni in clinica e in contesti interculturali “ organizzato dall’Università degli Studi di Genova (Dipartimenti di Scienze Antropologiche e di Neuroscienze), dall’Université de la Méditerranée (Francia) e dall’Université de Louvain (Belgio).
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2.1.3 La comunicazione interculturale Le formazioni in comunicazione interculturale nelle Università dell’UE-25 comprendono un insieme di pratiche proprio alle scienze della comunicazione ed alla gestione dei rapporti internazionali e commerciali. Sul piano metodologico ed epistemologico, la situazione di comunicazione interculturale viene generalmente considerata come interazione sociale organizzata e controllata da un paradigma sperimentale: quello che la cultura è tanto un processo dinamico tra persone, quanto una variabile indipendente. L’area d’interesse della comunicazione interculturale comprende le discipline delle scienze umane, sociali e della comunicazione; le aree di ricerca e di formazione si pongono in relazione ai linguaggi dei mass media, al discorso sulla diversità, alle relazioni tra le comunità linguistiche minoritarie e alla xenofobia anche attraverso correnti innovatrici delle scienze della comunicazione, come la mass-mediologia. Si possono individuare 3 grandi aree di applicazione della comunicazione interculturale:
• Comunicazione orientata ai mass-media (giornalismo, pubblicità, produzione audiovisivi e multimedia ) • Comunicazione orientata alla gestione dei rapporti internazionali e commerciali • Comunicazione orientata alla formazione linguistica Nell’orientamento di comunicazione orientata ai mass-media si segnalano: • La Formazione (Undergraduate BA) “Educational Technology and Intercultural Communication” presso la Facoltà di Cultural Technology and Communication dell’ University of Aegean (Grecia); • La Formazione (MA) “Cross-Cultural Communication and Media Studies” dell’University of Newcastle upon Tyne (United Kingdom); • La Formazione (BA Hons programme) “Performing Arts: community development” dell’University of East London (United Kingdom); viene presentata in Sezione 3 quale esempio di buona pratica;
Si segnala quale esempio di Collaborazione tra Università: • Il Postgraduate Degree (MA) “Media and Intercultural Communication” del Southeast European Media Center, un istituto nato dalla collaborazione tra il Dipartimento di Filosofia e di Cultural Studies dell’Università "St.Kliment Ohridski" di Sofia (Bulgaria) ed la Universität Viadrina Frankfurt/Oder (Germany).
Nell’orientamento di comunicazione orientata alla gestione dei rapporti internazionali e commerciali (business communication) si segnalano:
• Il corso di “Intercultural and International Communication” presso la Högskolan för lärande och kommunikation della Högskolan i Jönköping (Università di Jönköping, Svezia); • La formazione (MA) “Intercultural Communication” presso l’Institut für Studiengang Interkulturelle Kommunikation della Ludwig-Maximilians-Universität München (Germany); • Il Master “International Intercultural Communication” orientato alla business communication presso l’Institut for Sprogog International Kulturstudier (Department of Languages and Intercultural Studies) della Aalborg Universitet (Danimarca); • Le formazioni (BA upper level, MA) “ Cultures In Comparative Perspective” presso la Tartu Ülikool (Estonia); • I corsi di “Intercultural communication” presso la Budapesti Mûszaki és Gazdaságtudományi Egyetem, Vitus Bering Faculty of Engineering (Ungheria); • La formazione ( Ph.D.) in “Intercultural communication” presso la Philosophische Fakultät della Technische Universität Chemnitz (Germany). Nell’orientamento di comunicazione orientata alla translation, language studies and Intercultural competence si segnalano:
• La formazione (MA) “Translation Studies” presso l’Aston University (United Kingdom); • La formazione (PhD) “Interculturalidad y traducción” presso il Departamento de Filología Moderna della Facultad de Filosofía y Letras dell’Universidad de León (Spagna); • I corsi di Research and Education in Intercultural Communication del FAST Area Studies Program (Foundations in Area Studies for Translators) della School of Modern Languages and Translation Studies presso il Department of Translation Studies dell’Università di Tampere (Finland); • Le ricerche e la formazione (PhD) della University of Veszprém, Institute of German Studies (Hungary), nel campo della linguistica interculturale, linguistic aspects delle politics minority studies (language, literature and culture); languages in contact; • La formazione Master Degree “Interdisciplinary Master’s Program in Intercultural Communication and Intercultural Relations (ICIR)” presso la Universität Jyväskylä, Faculty of Humanities, Department of Communication (Finland);
Si segnalano, in particolare, quali esempi di collaborazione tra Università: • Il progetto Comenius 2003/2005 MICaLL - Moderating Intercultural Collaboration and Language Learning promosso dalla Hogeschool van Utrecht, Faculteit Educatieve Opleidingen (Olanda); • Il progetto Comenius 2003/2005 Only Connect: Traduccion de literatura infantil seleccionado y desarrollo de la conciencia europea promosso dall’Universidad Complutense de Madrid (Spagna). torna su^
2.1.4 L’interculturalità nelle relazioni internazionali La raccolta-dati nelle Università dell’UE-25 rileva che la formazione agli aspetti interculturali nelle relazioni internazionali implica un “apprendimento dialogico” nel confronto con gli stranieri, la mediazione dei conflitti culturali, la comprensione della propria e dell'altrui cultura, le interrelazioni fra esse, la cooperazione oltre le barriere culturali.
In particolare l’orientamento interculturale influenza: - gli studi di diritto nei settori: Intercultural Legal Studies, Social Legal Studies, international law, human rights and humanitarian law; - le formazioni inerenti la cooperazione internazionale nei settori: Aiuto umanitario, Conflict Resolution and Peace Studies, Research on Migrations and Intercultural Relations, Diversity Management; - gli studi diplomatici nei settori: Constitutional and Administrative Law, Diplomatic and Consular Law, Systemic Global Development, mediazione delle relazioni internazionali,
Sono particolari esempi le formazioni di: Orientamento giuridico: 1. La formazione (Master) “Droit comparé” dell’ACAJ presso il Laboratoire d'Anthropologie Juridique de Paris, dell’Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne (France), specializzazioni in “Anthropologie du droit” e in “Droits Africains”; 2. L’insegnamento “Antropologia giuridica e interculturalità” presso la Facoltà di Scienze Politiche del l’Università degli Studi di Teramo (Italia); 3. Le formazioni (M.A. e B.A.) “Studiengang Sozialwissenschaften mit Schwerpunkt Interkulturelle Beziehungen (ICEUS)” presso la Fachbereich Sozial- und Kulturwissenschaften della Fachhochschule Fulda (Germany), a vocazione giuridica.
Cooperazione internazionale: 4. La formazione universitaria (Master) “Cooperazione internazionale” dell’Università Cattolica (Italy); 5. La formazione universitaria Postgraduate (MA) in “Cultural Management” presso la Facultatea de Studii Europene dell’Universitatea Babes-Bolyai (Romania) ; 6. La formazione universitaria (post-graduaçao) “Ajuda Humanitária Internacional” presso la Faculdade de Ciências Sociais e Humanas dell’Universidade Independente (Portugal).
Studi diplomatici: 7. La formazione universitaria MA Social Sciences “Global Studies Programme” presso l’Institut für Soziologie dell’Albert-Ludwigs-Universität Freiburg (Germany); viene presentata in Sezione 3 quale esempio di buona pratica; 8. Il Bachelor of Arts (BA) “European Studies” presso l’European Studies Department del King's College London (United Kingdom); 9. Il corso “Intercultural Studies Programme” presso la School of Social Sciences della Växjö Universitet (Sweden); 10. La Formazione universitaria (M.A.) “Intercultural Conflict Management” presso la Alice Salomon Fachhochschule di Berlino (Germany).
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2.1.5 Il management interculturale nella business internationalisation La raccolta-dati rileva nelle Università dell’UE-25 numerosi esempi di formazione interculturale (Intercultural training, Cross-cultural training) orientate al mondo degli affari. Le competenze interculturali sono considerate risorse utili all’espansione all'estero delle imprese, con effetti diretti sull’equilibrio fra le prospettive di sviluppo ed i rischi connessi alle operazioni in nuovi mercati. Il successo delle imprese risiede nel vedere la diversità culturale come un’opportunità da apprendere e utilizzare; e nella capacità di sviluppare una competenza interculturale come componente delle loro competenze di comunicazione d’impresa. Le competenze interculturali utili in contesto d’impresa comprendono la conoscenza, il comportamento e l’abilità professionale. L’intercultural training può seguire un approccio didattico differenziato, basato sulle esperienze e sugli obiettivi dello studente, dove i contenuti possono essere di cultura generale o più specifici, basati sulla gestione delle diversità (Diversity management), sulla valutazione del ruolo delle differenze culturali nella determinazione delle pratiche di gestione d’impresa, sulla valorizzazione del capitale sociale (Social Capital).
Si possono individuare 2 grandi aree in cui si esercita l’Intercultural Management and Business Internationalisation: • Marketing, Management and Cultural training, comunicazione d’impresa (Business communication) nella Business internationalisation • Gestione di patrimoni turistici, culturali e naturali
Sono particolari esempi di orientamento incentrato su: Marketing, Management and Cultural training nella comunicazione d’impresa (business communication) per la business internationalisation: 1. La formazione “ Executive MBA Intercultural component and Management and Leadership Skills- Strategic Management and Organizational Behaviour ” presso la Universiteit Maastricht Business School (The Netherlands); 2. Il Master “Management et Commerce International” presso la Faculté des Sciences Humaines et Sociales dell’Université d'Avignon (France); 3. La formazione M.A. “Intercultural Communication” presso il Modern Languages Teaching Centre dell’University of Sheffield (United Kingdom); 4. La formazione (M.A.) “Intercultural Studies” presso la School of Applied Language and Intercultural Studies (SALIS) della Dublin City University (Ireland); 5. Il metodo di valutazione “Culture-General Assimilator method” presso il Bachelor of Engineering del Kajaani Polytechnic (Finland); viene presentata in Sezione 3 quale esempio di buona pratica 6. Il Master “Intercultural Competencies” della Donau-Universität Krems (Austria);
Gestione di patrimoni turistici, culturali e naturali 1. Il Corso di laurea in “Scienze del turismo culturale” presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Teramo (Italia); 2. Il corso di “Transkulturelle Kommunikation” orientato alla gestione di patrimoni turistici presso la Fachbereich für Kommunikationswissenschaft, Geisteswissenschaftliche Fakultät, dell’Universität Salzburg; 3. Il Master “Linguaggi del turismo e comunicazione interculturale” presso la Facoltà di Lettere e Filosofia, Dipartimento di Letterature Comparate dell’Università Roma Tre.
Si segnala, in particolare, quale esempio di Collaborazione tra Università: 1. Il progetto Comenius 2003/2005 Pour un nouveau paradigme du développement durable: application en milieu scolaire promosso dall’Institut de Geographie Alpine (Francia)
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Sezione 3 3.1 Bilancio tematico: collaborazione tra Università in reti transnazionali Questo paragrafo cerca brevemente di valutare la capacità e la propensione delle Università ad associarsi in rete transnazionale. L’analisi viene condotta sul caso dell'iniziativa più importante dell'Unione Europea in materia di sostegno all’educazione interculturale, ossia il capitolo Comenius del programma Socrates. Comenius si situa nell’ambito dei programmi settoriali chiamati ad attuare questi obiettivi. L’interesse di Comenius nel quadro della nostra ricerca risiede nel fatto che, essendo rivolto a scuole di ogni ordine e grado, permette di esaminare la partecipazione delle Università UE-25 ai programmi europei, ed il grado di coinvolgimento (partner o capofila). Negli ultimi tre anni di attuazione, Comenius ha finanziato 153 Progetti. Nel dettaglio:
Su 153 progetti, la ricerca rileva solamente 19 Progetti su materia interculturale cui hanno partecipato Università (12,4% del totale dei Progetti Comenius per il triennio 2003/2005); e tra essi solamente 8 hanno avuto come proponente una Università UE-25 (5,2% del totale). Questo a fronte del numero rilevante di istituti (si ricorda che la popolazione-madre del presente studio è costituita da 781 Università e Colleges - cfr. 1.2.1) e del fatto che una delle 3 azioni è dedicata a progetti transnazionali per l'educazione dei migranti e dell'educazione interculturale. I dati rivelano la difficoltà delle Università UE-25 a collaborare all’interno di Programma e l’ancora maggiore difficoltà nell’assumere il ruolo di proponente e gestore dell’iniziativa. Appare pertanto giustificata la scelta di questa relazione di concentrarsi sulle formazioni piuttosto che sulle reti e i progetti.
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3.2 Bilancio tematico: rilevazione di costanti ed elementi-guida 3.2.1 Aree di riferimento dell’approfondimento teorico-metodologico La ricerca nelle Università dell’UE-25 rileva che, nella gran parte dei casi, l’approfondimento teorico-metodologico nelle pratiche dell’intercultura viene orientato dagli sviluppi teorico-metodologici elaborati e sviluppati nelle ricerche che privilegiano i rapporti tra percezione, cognizione (pensiero, ragionamento) e cultura, svolte principalmente nelle Facoltà di scienze sociali e nelle Facoltà di psicologia cognitiva, in quanto discipline che si occupano delle strategie del dialogo e dell'integrazione tra diverse comunità culturali. Il dato conferma uno studio del 1998 commissionato dalla Fullerton’s School of Communication e dal The International Journal of Intercultural Relations. L’autore William B. Hart (Department of Communication, Old Dominion University, Norfolk, USA) identificava la psicologia come la disciplina più influente negli studi accademici sulle relazioni interculturali, seguita dalle scienze della comunicazione, dalla sociologia e dall’antropologia. torna su^
3.2.2 Costanti delle formazioni interculturali La ricerca condotta per Interculture Map ha permesso di identificare alcune costanti delle formazioni interculturali:
1. Diminuzione della la distanza tra gli orientamenti dei sistemi educativi, dei curricula universitari e delle rappresentazioni della diversità dominanti nei singoli Paesi; 2. Crescente valorizzazione della pluralità delle lingue e delle culture; 3. Valorizzazione della formazione permanente per gli addetti al settore interculturale, spesso attraverso il ricorso all’insegnamento a distanza, particolarmente nel settore linguistico; 4. Esistenza di una interculturalità dei contesti globali (cfr. esempio Global Studies Programme, Albert-Ludwigs-Universität Freiburg, infra) e quella di una interculturalità dei contesti locali (cfr. esempio BA Performing Arts, University of East London, infra) che opera in contesti di attività quotidiana. 5. Dal punto di vista teorico-metodologico: partecipazione della ricerca interculturale al cambio di prospettiva in corso nelle scienze sociali e politiche, in cui l’attenzione si sposta dal contenuto delle culture alle loro frontiere, e a come gli attori sociali rappresentano la propria complessità culturale.
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3.2.3 Criticità delle formazioni interculturali Molti contributi di specialisti rilevano come l'educazione interculturale in Europa puo’ essere considerata come un ambito incompiuto. In particolare, Cristina Allemann-Ghionda (1999) ha sottolineato che «i diversi modelli sviluppati a partire dall'idea di educazione interculturale solo raramente sono attuati nei sistemi educativi dell'Europa occidentale, storicamente organizzati attorno ad un approccio monolingue e monoculturale». Una seconda criticità ricorrente riguarda la prassi dell’interculturalità dei contesti locali. Senza rifiutarne il savoir-faire, si ammette generalmente che la presenza dell’operatore sul terreno crea una situazione artificiale rispetto alla vita quotidiana dei soggetti “Altri”, aprendo la strada a false comprensioni e a stereotipi.
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3.2.4 Proiezioni future delle formazioni interculturali La costante presenza di alcuni caratteri teorici dell'educazione interculturale nelle Università dell’UE-25 individua alcuni elementi-guida che presumibilmente avranno influenza nei prossimi anni: 1. allargamento: passaggio dall'attenzione alle relazioni interetniche alla diversità in genere in ambito sociale e culturale; 2. competenza interculturale: apprendimento delle abilità utili a confrontarsi in ambito interculturale, quali la flessibilità e la mentalità aperta; 3. identità inclusiva: sforzo per elaborare competenze atte ad orientarsi e definirsi rispetto ad un mondo "multireferenziale".
La “buona pratica” formativa dovrebbe essere individuata anche in coerenza questi elementi-guida.
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3.3 Bilancio tematico: caratteri di buona pratica 3.3.1 Strumenti di valutazione della consapevolezza interculturale Due preesistenti strumenti di valutazione della consapevolezza interculturale, il Cross-Cultural Adaptability Inventory (CCAI) ed il Global Competency and Intercultural Sensitivity Index (ISI), sono stati applicati in questa relazione sulle formazioni universitarie al fine d’indicare alcuni esempi di “buona pratica” di formazione interculturale. Il primo è un «training instrument designed to provide information to an individual about his or her potential for cross-cultural effectiveness» (Kelley & Meyers, 1995), un approccio culturale molto ampioe incentrato sull’operatore dedito alla risoluzione dei conflitti di culture attraverso la mediazione. Esso identifica quattro dimensioni importanti per la competenza interculturale, che possono essere migliorate attraverso una specifica formazione e attraverso la pratica dell’interazione: 1. resilienza emozionale, (emotional resilience) capacità di porsi con inventiva e in modo costruttivo di fronte agli stress emotivi del contesto di lavoro interculturale. 2. flessibilità ed apertura mentale (flexibility and openness) «are characterized by accepting other ways of doing things, a lack of rigidity, and an ethnorelative perspective» (Brislin & Yoshida, 1994); 3. acuità percettiva (perceptual acuity) «refers to the degree of sensitivity individuals have in terms of verbal and nonverbal messages, as well as to interpersonal relations in general» (Brislin & Yoshida, 1994, p. 90), ossia l’operatore interculturale è sensibile ad altre culture ed è attento “to verbal and non-verbal behavior, to the context of communication, and to interpersonal relations” (Kelley & Meyers, 1995). 4. autonomia personale (personal autonomy), ossia l’operatore interculturale possiede una forte identità culturale che non necessita di indicazioni esterne per prendere decisioni.
Il secondo strumento, ISI, creato da Olson e da Kroeger (2001) è più adatto del CCAI a valutare la sensibilità interculturali e le competenze complessive (global competency) degli individui che debbono lavorare all’estero. Le sue componenti sono: 1. substantive knowledge (conoscenza delle culture, delle lingue, etc.); 2. perceptual understanding (apertura mentale, flessibilità, resistenza a interpretare per stereotipi); 3. intercultural communication ( adattabilità, empatia, mediazione culturale).
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3.3.2 Criteri di scelta della“buona pratica” formativa La “buona pratica” formativa nell’educazione interculturale, quale si riscontra nel campione adottato di 54 formazioni presentate dalla relazione, è quella in cui è stata riscontrata la presenza di 9 elementi qualificanti, individuati come: • che la formazione sia coerente con la definizione presentata in 1.3.3, ossia una formazione volta ad imparare come svolgere l’incontro con l’Altro e non ad imparare la cultura dell’Altro; • che sia attinente a uno dei 5 campi identificati in 1.4; • che si inscriva negli orientamenti dell’UE in materia di interculturalità (cfr. 1.3.1) e negli orientamenti teorico-metodologici rilevati nell’orizzonte universitario europeo (1.3.2) ossia intercultural studies e cross-cultural studies, con esclusione del campo di ricerca multiculturale; • che sia attiva o in costituzione al momento dell’inizio della redazione della ricerca Interculture Map; • efficacia dimostrata da docenti specializzati oppure da valutatori indipendenti o da meccanismi interni di controllo qualitativo e/o di strumenti misurazione dell’efficacia del risultato. • analisi delle condizioni di fattibilità volta a rilevare problematiche e conflittualità; • applicabilità ad altri contesti; • valutazione positiva secondo due parametri di valutazione, il Cross-Cultural Adaptability Inventory (CCAI) ed il Global Competency and Intercultural Sensitivity Index (ISI) (cfr 3.3.1);
La formazione risulta “buona pratica” quanto più riesce a relazionarsi efficacemente con gli 8 elementi qualificanti per formare nello studente abilità e competenze coerenti con 3.2. In sintesi, per “buona pratica” si è intesa la formazione universitaria capace di creare una competenza interculturale attraverso un processo di apprendimento volto a sviluppare modi di interazione in cui le parti si impegnano reciprocamente a relazionarsi in modo appropriato, con adattabilità, rispetto e sensibilità, ai comportamenti dell’Altro, ed ai suoi modi di comunicazione.
Vengono proposti e dettagliati 5 esempi di approcci interculturali, scelti tra le formazioni proposte dal campione di Università UE-25. Si tratta di formazioni che cercano di sviluppare negli studenti aspetti individuati da specialisti come caratteristiche dell'uomo pluriculturale in costante transizione. Si tratta di: • flessibilità ed apertura mentale (Adler, citato in Dignes, 1983). • assenza di pregiudizio culturale (Cleveland, Mangone ed Adams citato in Dignes,1983); • empatia interculturale (Gudykunst ed altri, citato in Dignes, 1983). • capacità di osservare l'altro e di reagire rispettosamente in un processo di comunicazione verbale e nonverbale (Ting-Toomey 1999).
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