Le politiche interculturali delle OIG
Sandra Federici e Paola Zappaterra
Abstract
This research is focused on the Governative Organizations (GO) whose intervention field, directly or indirectly, concerns cultural diversity.
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Introduzione 1 Un primo approccio alla diversità culturale 2 Il contesto giuridico-istituzionale 3 La diversità culturale: una prospettiva storica 4 Considerazioni finali e note
Introduzione Oggetto principale di questa ricerca sono le Organizzazioni internazionali governative (OIG), il cui settore d’intervento, direttamente o indirettamente, è attinente all’ambito della diversità culturale, oltre ad alcuni altri enti, legati a governi di singoli paesi, selezionati per la specificità dei loro interventi interculturali. Per organizzazioni internazionali governative si intendono “quelle organizzazioni che raggruppano un certo numero di Stati membri, sia per finalità multiple che per finalità specifiche. Queste organizzazioni sono dunque composte dai rappresentati degli Stati membri, che si riuniscono al fine di applicare degli approcci comuni su questioni aventi portata globale.(1) Si è scelto di restringere l’analisi alle sole organizzazioni governative per vari motivi. Il primo, necessariamente strumentale, è porre dei limiti ad una ricerca che si configura come potenzialmente vastissima, per la pluralità di azioni, iniziative e atteggiamenti riscontrabili. Il limite “istituzionale” ci è parso, in questo ambito, il più adatto e significativo: permette di fondare la ricerca su documenti ed atteggiamenti ufficiali, dei singoli Stati come della comunità internazionale. Inoltre, alle organizzazioni internazionali a carattere non governativo (ONG) non viene in genere riconosciuta personalità giuridica (2) e pertanto, pur svolgendo una funzione essenziale costituendosi come gruppi di pressione o venendo in certi casi ammesse come osservatrici dalle OIG, tuttavia non hanno la facoltà di intervenire direttamente nella produzione di norme di diritto internazionale che vincolino gli Stati. Oltre a ciò, va detto che, all’interno della vastissima nebulosa di enti che operano in ambito internazionale, non è sempre facile operare distinzioni e orientarsi tra di esse, data la scarsa regolamentazione del settore.(3) Molto spesso inoltre i fini che essi perseguono non sono universalmente condivisibili, come invece avviene, o dovrebbe avvenire, per le OIG. Sono state tuttavia analizzate anche alcune altre organizzazioni che costituiscono parziale eccezione rispetto a ciò, come i progetti promossi da organizzazioni intergovernative (in primis quelli finanziati dall’Unione europea) ma pensati per essere implementati da altri tipi di enti, pubblici o privati. D’altra parte, si è tralasciata la trattazione di OIG che, pur occupandosi di tematiche interculturali, operano in un contesto regionale ristretto e, dal punto di vista della nostra ricerca, omogeneo e sostanzialmente a-conflittuale, come è il caso di organizzazioni come la Comunità Andina e la Comunità Artica. Nello specifico, per quanto riguarda le OIG, la ricerca ha preso in considerazione tutte le organizzazioni intergovernative attualmente esistenti, che sono circa 200, per verificare il loro rapporto con i temi della cultura in senso lato e della diversità culturale in particolare. Da questa prima analisi sono emerse 15 organizzazioni che, seppure in modo diverso tra loro, si occupano di dinamiche interculturali. Pur occupandosi di diversità culturale in un’accezione abbastanza ampia, e volendo darne una visione panoramica, la ricerca focalizza la sua attenzione sulla situazione europea e sul rapporto tra quella che, in modo necessariamente impreciso e schematico, possiamo chiamare “cultura europea”, e le altre culture con cui essa è in diretto contatto e, per certi aspetti, sono da essa “dominate”, concentrandosi maggiormente sul contatto che si sta rivelando il più problematico e conflittuale, cioè quello con i background culturali degli immigrati che arrivano in Europa. È per questo motivo che si è ritenuto opportuno occuparsi anche di altri enti, sempre però a carattere istituzionale, afferenti più o meno direttamente a governi di singoli paesi e che operano nel medesimo settore. Gli enti selezionati sono i ministeri degli Esteri di Gran Bretagna e Francia, per la rilevanza storica che questi due paesi hanno avuto nel configurare ed impostare il rapporto tra la “cultura occidentale” e quella “non occidentale” e per l’importanza, soprattutto per quanto riguarda il caso francese, delle azioni finalizzate alla valorizzazione della cultura di aree ex-coloniali. Per la stessa ragione è approfondito anche l’approccio alle tematiche interculturali da parte del governo belga, in particolare per quanto riguarda l’iniziativa Africalia. Poste queste premesse, l’obbiettivo che questa ricerca si propone, nella prima parte, è illustrare il quadro normativo, storico e concettuale della diversità culturale, soprattutto per ciò che riguarda il rapporto tra la “cultura europea” e quelle “extraeuropee”, ma anche per il rapporto tra culture europee all’interno del vecchio continente. Nella seconda parte vengono collocate le organizzazioni internazionali all’interno di questo contesto, descrivendone nel dettaglio le attività. Si cercherà inoltre di fare un bilancio finale.
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1 Un primo approccio alla diversità culturale L’incontro tra culture, pur essendo una costante nella storia dell’umanità, ha assunto, negli ultimi anni, una dimensione di eccezionale rilievo, non priva di luci ed ombre. Negli ultimi decenni del XIX secolo esisteva già una fitta rete di scambi ed interdipendenze tra le varie parti del mondo in una misura non inferiore a quella di oggi. È da allora che potremmo parlare di una effettiva “mondializzazione”, riservando il termine “globalizzazione” al periodo successivo al 1990.(4) Negli ultimi anni, però, si è rivelato necessario ripensare queste dinamiche, e la visione universalistica che prevaleva a cavallo del millennio, sia per i suoi detrattori che per i suoi sostenitori, sembra essere seriamente in discussione. Non solo i conflitti militari e il terrorismo sembrano oggi spezzare quella continuità geografica che si credeva ormai essere un dato di fatto, ma nemmeno i mezzi di comunicazione, tra cui internet, possono dirsi a tutti gli effetti universali, per la censura governativa attiva in molti paesi, ma anche per il difficile accesso da parte di moltissime persone, non solo nel cosiddetto “terzo mondo”, ma anche in Europa. I flussi migratori, pur in costante aumento, più che un effetto della globalizzazione, possono essere considerati un sintomo di come tale processo sia ricco di contraddizioni come dimostrano le difficoltà correlate all’integrazione e la poca volontà con cui, da entrambe le parti, si lavora per una società interculturale e basata sul dialogo. Per intercultura si intende generalmente un approccio propositivo, una categoria programmatica, che valuta ogni persona, indipendentemente dalla sua provenienza e dal suo background, per quello che in effetti è, senza volerle attribuire “a priori” una rete di significati propri del suo presunto “gruppo” di appartenenza. Tale approccio non è di tipo conoscitivo, non è volto alla conoscenza di culture “altre” ma allo studio delle interazioni tra individui, ed è applicabile non solo agli individui ma praticamente a tutte le produzioni umane, come quelle artistiche e letterarie. L’approccio interculturale svolge un ruolo fondamentale, per educare ad una più aperta interazione con culture diverse da quella d’origine. Secondo la ben nota definizione corrente, per multiculturalismo intendiamo il riconoscimento di una realtà oggettiva, come può essere, ad esempio, la presenza di più culture all’interno di una stessa società, senza che venga pensata nessuna linea di intervento per una situazione che si delinea come potenzialmente conflittuale. In questo approccio, sostanzialmente analitico, prevale l’identità del gruppo, e quindi l’etnicizzazione, su quella del singolo, e per questo si parla anche di salad bowl, ovvero “insalatiera”, o società mosaico. L’esempio più evidente sono gli Stati Uniti di oggi, ma su questo punto ritorneremo più avanti. La carenza di politiche interculturali è riscontrabile quasi ovunque. Focalizzando la nostra attenzione sull’Unione europea,(5) possiamo dire che vi è, a livello centrale, una certa attenzione per queste tematiche che, come vedremo in seguito, si concretizzano in un’ampia offerta di programmi ed iniziative, oltre che in una diffusa consapevolezza che lo sviluppo politico ed economico vada di pari passo con quello culturale. Tuttavia a ciò non fa riscontro una adeguata implementazione nei vari contesti nazionali, in particolare nell’Europa meridionale e orientale, se non a livello locale. Non esistono infatti ricerche adeguate e quindi indici precisi sul ruolo della cultura nell’integrazione sociale delle categorie più in difficoltà, ma soprattutto vi è scarsa convergenza tra le politiche sociali e quelle culturali, scarsa comunicazione e scambio di idee, all’interno dei singoli paesi, tra i ministeri degli Affari sociali e quelli della Cultura, in quanto i primi si occupano di politiche occupazionali, abitative, sanitarie e di scolarizzazione, mentre invece i secondi dedicano le esigue risorse a disposizione del settore principalmente per la tutela e la conservazione del patrimonio “materiale”, dell’aspetto museale e “tangibile”. Viene dunque privilegiata un’accezione “colta ed elitaria” della cultura, fruibile solo da quanti di quella cultura fanno già parte, e quindi responsabile di ulteriore esclusione per “gli altri”, in primis gli immigrati e i rifugiati politici, ma anche gli anziani, gli emarginati sociali e i soggetti con problemi psichiatrici, che vengono in genere pensati come poco interessati a fruire di attività culturali. Questo avviene non solo per precise scelte politiche, ma anche, come si è visto per le difficoltà “classiche” di comunicazione tra le varie amministrazioni, e per la reticenza a portare avanti progetti culturali di inclusione che produrranno risultati meno evidenti, per esempio, dell’inaugurazione di “oggetti” artistici in tempi medio-lunghi e poco “quantificabili”. Questa ricerca intende occuparsi di un’accezione più ampia di cultura, intesa come “capitale umano e sociale” e come “modalità di espressione e comprensione dell’identità” propria ed altrui, ricollegandosi quindi al concetto di intercultura.
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2 Il contesto giuridico-istituzionale Considerando dunque i limiti dell’operato dei singoli Stati nazionali, risulta fondamentale il ruolo propulsore svolto dalle organizzazioni internazionali, la cui attenzione per la dimensione multiculturale e il ripensamento di molti ambiti della nostra società seguendo un approccio interculturale sono riscontrabili in numerose iniziative, risoluzioni e convenzioni promosse soprattutto dall’Unione europea e dall’ONU, quest’ultima in particolare attraverso l’Unesco. Come si è visto, l’Europa, e l’Unione europea in modo particolare, si sta trovando ad affrontare l’ingresso di nuovi Stati membri in Europa, e con essi di nuove culture, oltre all’arrivo sempre maggiore di immigrati, in particolare provenienti dai paesi dell’area mediterranea. Queste realtà costituiscono una delle principali sfide all’integrazione e conseguentemente alla pace e alla prosperità di tutta l’area, ma anche un’opportunità di crescita e di arricchimento che non può prescindere dalla salvaguardia dell’enorme patrimonio culturale di cui ciascuna regione è portatrice. Recentemente, il primo giugno 2006, il Parlamento europeo ha approvato la proposta della Commissione di proclamare il 2008 “Anno europeo del dialogo tra culture”, intendendo così promuovere e finanziare, con un budget di dieci milioni di euro, campagne d’informazione, manifestazioni ed eventi, oltre a studi ed indagini sul tema,(6) riservando particolare attenzione alla dimensione religiosa. L’obiettivo generale è «incoraggiare i cittadini europei a vivere insieme armoniosamente e a superare le differenze inerenti alla loro diversità culturale, religiosa e linguistica, non soltanto tra le culture dei diversi Stati membri, ma anche tra le varie culture e i gruppi religiosi degli Stati membri». L’iniziativa aspira inoltre ad «esportare i valori comuni dell'Unione europea» nelle relazioni di quest'ultima con il resto del mondo, «rafforzando così il suo ruolo di leader nella promozione e nella tutela dei diritti umani e della democrazia». Per quanto riguarda gli obiettivi specifici, la Commissione europea intende incoraggiare l’utilizzo dell’approccio interculturale nel maggior numero possibile di settori e ad omogeneizzare tra loro le politiche dei vari paesi. D’altra parte, l’Unione europea, fin dalla sua fondazione, valuta positivamente la diversità culturale, come emerge dall’articolo 151 del Trattato,(7) il cui aspetto più importante riguarda l’attenzione per la dimensione culturale nelle politiche comunitarie non specificatamente legate alla cultura, oltre che dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, articolo 22. Da tempo inoltre l’Unione intraprende azioni interculturali, in particolare nell’ambito del programma Cultura 2000, che ha finanziato interventi in ambito culturale ed interculturale a livello europeo per quanto riguarda il periodo 2000-2006,(8) varie azioni volte a favorire lo scambio tra giovani europei comprese nel programma Socrates, l’Azione Jean Monnet, nel cui ambito va inquadrata la conferenza europea “Dialogue between peoples and culture”, svoltosi a Bruxelles nel maggio 2004. Oggetto della conferenza di Bruxelles non è stato semplicemente l’integrazione nel contesto comunitario, come nel caso degli altri interventi sopra citati, ma un progetto più ambizioso di una partnership euro-mediterranea, nella quale l’aspetto del “dialogo” sarebbe premessa “fondante” ed “imprescindibile” di innegabili e positivi risvolti economici, approfonditi nel progetto Euromed, che possono contribuire in modo fondamentale alla pace e alla prosperità di tutta l’area. Proprio all’interno di tale conferenza sono però emerse perplessità sulla reale portata di tali iniziative, che rischiano di avere l’effetto opposto, ossia l’imposizione più o meno inconsapevole dei valori e delle priorità dell’Unione europea, soprattutto dei vecchi membri, su quelle degli altri partner mediterranei. Proprio per questo motivo, da più parti sta l’esigenza di riformare in modo significativo il Trattato di adesione all’Unione,(10) o addirittura di adottarne uno nuovo, anche se per il momento questa ipotesi non è stata seriamente presa in considerazione. Anche al di fuori dell’Europa l’intercultura è oggetto di particolare interesse: già da tempo la comunità internazionale, ed in particolare l’ONU, ha iniziato ad occuparsi di diversità culturale, includendola però nella tutela più generale dei diritti umani, come esplicitato dall’articolo 27 della Dichiarazione universale dei diritti umani (11) del 1948, che recita: «Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici.» Gli stessi concetti, vengono ribaditi in un documento di carattere sociale, promosso ancora dalle Nazioni Unite, il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali del 1966,(12) aggiungendo inoltre un richiamo esplicito alla libertà di scelta in merito all’educazione e all’importanza dell’istruzione: « (...)l’istruzione deve porre tutti gli individui in grado di partecipare in modo effettivo alla vita di una società libera, deve promuovere la comprensione, la tolleranza e l’amicizia fra tutte le nazioni e tutti i gruppi razziali, etnici o religiosi ed incoraggiare lo sviluppo delle attività delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace. (...)». Su queste premesse e su questi ed altri documenti (13) è fondata la Dichiarazione universale sulla diversità culturale dell’Unesco, il cui obiettivo è la promozione e la salvaguardia di tutte le culture, in particolare di quelle minoritarie e a rischio di “estinzione”, attraverso un trattamento paritario ed un approccio pluralistico ai media, e la possibilità per tutti di accedere alla cultura e all’educazione. La Dichiarazione sottolinea la necessità di considerare i prodotti culturali in modo diverso rispetto a tutti gli altri beni e servizi, sottraendone la regolazione agli accordi commerciali internazionali. A questo proposito va detto che, se questa dichiarazione di principi è stata approvata all’unanimità nell’ottobre 2003 ed è stata ratificata in tempi relativamente brevi, la Convenzione sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali, che dalla Dichiarazione ha avuto origine, non ha riscosso altrettanto consenso. Questo documento infatti, fortemente voluto da Canada,(14) Francia e Svizzera,(15) conferisce un contenuto giuridicamente vincolante ai concetti precedentemente espressi nella Dichiarazione, tutelando le espressioni culturali di ogni paese, pone forti limitazioni all’espansione delle industrie culturali più importanti, come quelle europee e quella statunitense.(16) Per questo motivo l’approvazione e la conseguente entrata in vigore,(17) nonché l’eventuale implementazione della Convenzione risultano essere particolarmente problematiche, in quanto nessuno Stato dell’Unione europea (18) e dei paesi sviluppati in genere lo ha ancora ratificato, ad accezione del Canada. Tuttavia in moltissimi paesi, tra cui molti europei, sono attivi gruppi di pressione nazionali, le Coalizioni europee per la diversità culturale, che si adoperano affinché la Convenzione venga ratificata dai governi dei loro paesi.(19) Va inoltre ricordata la Convenzione Unesco per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, adottata all’unanimità (20) dalla Conferenza generale dell'Unesco, volta a salvaguardare «pratiche, rappresentazioni, espressioni, conoscenze e i saperi – così come gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati ad essi – che le comunità, i gruppi e, in alcuni casi, gli individui riconoscono come facenti parte del loro patrimonio culturale». Adottata nell'ottobre del 2003 ed entrata in vigore nell’aprile 2006, essa non è stata ratificata dall’Unione europea né dagli altri paesi sviluppati. Anche il Consiglio d’Europa, istituzione intergovernativa nata nel 1949, di cui attualmente sono membri 46 Stati, riveste una particolare importanza come promotore del rispetto per la diversità culturale e della sua regolamentazione giuridica, in quanto condiziona esplicitamente l’adesione di nuovi Stati all’impegno nella tutela dei diritti dell’uomo e ha tra i suoi obbiettivi «favorire la consapevolezza dell’identità europea, basata su valori condivisi, che trascendono le diversità culturali», considerando ciò il fondamento di ogni democrazia. A dispetto del nome, il Consiglio d’Europa non è un’organizzazione a partecipazione esclusivamente europea, ma ne fanno parte anche gli Stati confinanti, in particolare i paesi dell’area ex-sovietica, oltre ad alcuni altri paesi, come Stati Uniti e Messico, ammessi in qualità di osservatori. Questa organizzazione ha dunque un carattere marcatamente “più universale” rispetto all’Unione europea, e ciò risulta evidente in special modo dalla possibilità di aderire, anche da parte di Stati non membri, alle numerose iniziative. Tra queste, le iniziative che hanno conosciuto più successo sono la Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali (21) e la Corte europea dei Diritti dell’Uomo,(22) che ha il compito di vincolare gli Stati agli impegni assunti al momento dell’adesione alla Convenzione. Altri documenti di rilievo nell’ambito interculturale promossi dal Consiglio sono la Convenzione culturale europea,(23) la Carta europea delle lingue regionali, la Convenzione per la protezione delle minoranze nazionali (24) e la Convenzione sul valore del patrimonio culturale per la società. Questi documenti però non si occupano della tutela delle culture e delle lingue degli immigrati, la cui tutela viene genericamente inclusa in quella dei diritti umani. Nonostante esistano interventi specifici in questo settore, essi non hanno valenza giuridica e non sono stati intrapresi da tutti gli paesi membri.
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3 La diversità culturale: una prospettiva storica Come si è visto, l’incontro/scontro tra culture non è una prerogativa di questi ultimi decenni ma ha radici molto più lontane. A proposito dell’interazione tra la “cultura europea” e “occidentale” e le altre culture, risulta significativo occuparci degli ultimi due secoli ed in particolare della seconda metà dell’Ottocento, quando l’Europa ha impostato un rapporto Nord/Sud che per molti aspetti sopravvive ancora oggi. Attraverso una prospettiva storica, la definizione di “cultura europea” e di “cultura occidentale” risulta poi meno controversa se ricondotta, senza giudizi di valore, a quel “fardello dell’uomo bianco” che i paesi europei, Francia e Gran Bretagna in testa, hanno effettivamente “esportato” negli ultimi due secoli. Quella “esportazione” può essere considerata come il primo esempio di gestione della multiculturalità,(25) confrontandosi con il quale, in tempi più recenti, si sono costruiti i vari “modelli” di società pluriculturali, riscontrabili nelle varie impostazioni che Stati ed organizzazioni hanno adottato nel loro approccio alla diversità culturale e nella cooperazione in genere. La Gran Bretagna ha costruito il più vasto impero coloniale dell’età contemporanea, arrivando a controllare, alla vigilia della I Guerra Mondiale, circa il 23.58% della superficie terrestre e quasi un quarto dell’intera popolazione mondiale, articolato secondo tre tipi di colonie: di popolamento, a popolazione autoctona, e l’India, a cui veniva applicato un regime particolare, in virtù dell’importanza strategica che essa rivestiva. Il tradizionale autogoverno che caratterizzava le istituzioni della madrepatria ebbe importanti ripercussioni sull’assetto amministrativo applicato ai territori coloniali. Le colonie a popolazione autoctona, praticamente tutte quelle africane,(16) godevano infatti di una particolare forma di autonomia, detta indirect rule, basata sulle strutture preesistenti della società indigena, a cui veniva affiancato un residente o consigliere politico di nomina inglese. Per questo motivo ogni colonia godeva di uno status proprio, la penetrazione culturale inglese fu piuttosto limitata e la lingua inglese non venne imposta, anche se ebbe comunque una diffusione abbastanza ampia. Nei territori inglesi in Africa la fase di decolonizzazione si svolse in modo abbastanza rapido e pacifico, eccetto alcuni territori chiave, di cui peraltro cercò di mantenere anche in seguito un controllo informale. Uno degli strumenti con cui la Gran Bretagna cercò di legare a sé le ex-colonie fu il Commonwealth.
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4 Considerazioni finali Per delineare una conclusione sintetizziamo alcune questioni aperte nelle politiche che abbiamo passato in rassegna. - Si lamenta la carenza dei fondi destinati alla cultura, nonché una scarsità di interventi interculturali organici promossi da istituzioni europee e Unesco; - La difficoltà di collocare la categoria dell’intercultura all’interno di uno specifico settore d’intervento si riflette nella difficoltà di ottenere fondi per questo tipo di progetti: a chi chiedere finanziamenti? Alle commissioni per la cultura o a quelli per gli affari sociali?; - L’evoluzione storica contemporanea della società europea evidenzia la crucialità e l’urgenza assoluta degli interventi che si occupano di cultura degli immigrati in Europa.
Note 1 - www.apat.gov.it 2 - «Poiché l’attività svolta dalle ONG rimane ancora ad un livello fortemente informale e non avviene su un piano di parità con gli Stati, data la mancanza di un generale riconoscimento della personalità giuridica di tali organizzazioni.» E. Webber, Il ruolo delle organizzazioni non governative nei trattati per i diritti dell’uomo, tesi di laurea in Giurisprudenza, Università di Trento, A.A. 2004/2005, in «Pubblicazioni Centro italiano Studi per la pace, www.studiperlapace.it». Per personalità giuridica si intende “il riconoscimento di soggettività giuridica ad organizzazioni collettive (quali Enti, associazioni, società ecc.) per cui dette organizzazioni vengono considerate nell'ordinamento giuridico come soggetti di diritto, forniti di capacità giuridica propria, distinta dalle persone fisiche che concorrono a formarle.” www.creditosportivo.it/faq.htm 3 - Non esiste, nel diritto internazionale, una definizione generalmente accettata di “organizzazione non governativa. La nozione di Ong assunta dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo comprende anche entità che perseguono uno scopo di lucro. Paradossalmente, anche la distinzione tra Organizzazioni non governative e gruppi criminali può non essere così forte. V. E. Webber, Il ruolo delle organizzazioni non governative nei trattati per i diritti dell’uomo, tesi di laurea in Giurisprudenza, Università di Trento, A.A. 2004/2005, in «Pubblicazioni Centro italiano Studi per la pace, www.studiperlapace.it». 4 - Nell’utilizzo comune questi due termini vengono usati indifferentemente come sinonimi: nel mondo anglosassone prevale l’utilizzo di “globalizzazione”. Più precisamente, però, “mondializzazione” è usato in contesti filosofici, mentre “globalizzazione” in ambito economico. 5 - C. Gordon, Politiche e programmi culturali europei a favore dell’integrazione sociale, in «Economia della cultura» n. 4, 2004. 6 - http://www.europarl.europa.eu/news 7 - Art.151 del Trattato sull’Unione europea del 1991, conosciuto anche come “Trattato di Maastricht”. In particolare: «La Comunità contribuisce al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto delle loro diversità nazionali e regionali, evidenziando nel contempo il retaggio culturale comune. (...) La Comunità e gli Stati membri favoriscono la cooperazione con i paesi terzi e le organizzazioni internazionali competenti in materia di cultura, in particolare con il Consiglio d'Europa. La Comunità tiene conto degli aspetti culturali nell'azione che svolge a norma di altre disposizioni del presente trattato, in particolare ai fini di rispettare e promuovere la diversità delle sue culture. (...)» 8 - È gia stato varato un altro provvedimento per il periodo successivo. 9 - Si veda in particolare l’intervento di Peter G. Xuereb, professore J. Monnet, Centro europeo di ricerca e documentazione, Università di Malta. 10 - Importanti modifiche sono già state apportate, in particolare in ambito sociale attraverso il Trattato di Amsterdam, del 1997, e in ambito di diritti umani fondamentali, il Trattato di Nizza del 2000, nel quale è stata approvata la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. 11 - La Dichiarazione universale dei diritti umani è stata adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948. 12 - Entrato però in vigore solo nel 1976. 13 - In particolare, l’Accordo di Firenze del 1950 e il suo Protocollo di Nairobi del 1976, la Convenzione Universale sui diritti d’autore del 1952, la Dichiarazione dei Principi della Cooperazione culturale internazionale del 1966, la Convenzione sui mezzi per proibire e impedire l’importazione, l’esportazione e il trasferimento di proprietà illegali di beni culturali (1970), la Convenzione per la protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale del 1972, la Dichiarazione dell’UNESCO sulla razza e sui pregiudizi razziale del 1978, la Raccomandazione riguardante lo status dell’artista del 1980, e la Raccomandazione sulla salvaguardia della cultura tradizionale e popolare del 1989. 14 - D’altra parte, il Canada è anche stato il primo paese ad adottare ufficialmente, nel 1971, una politica multiculturale. 15 - Adottato il 20 ottobre 2005 a maggioranza assoluta. Hanno votato contro solo Stati Uniti e Israele; altri 4 Stati si sono astenuti. 16 - Il cinema costituisce una delle principali “merci” esportate dagli Stati Uniti. 17 - L’entrata in vigore è prevista dopo 3 mesi dalla ratifica del trentesimo Stato. 18 - La Dichiarazione è stata però adottata dai ministri della Cultura dei paesi membri a nome dell’Unione europea, sentito il parere del Parlamento europeo. 19 - Al 18 maggio 2006: Argentina, Australia, Belgio, Benin, Brasile, Burkina Faso, Camerun, Canada, Cile, Colombia, Congo, Ecuador, Francia, Germania, Guinea, Ungheria, Irlanda, Italia, Costa d’Avorio, Corea del Sud, Mali, Messico, Marocco, Nuova Zelanda, Paraguay, Perù, Senegal, Slovacchia, Spagna, Svizzera, Togo, Tunisia, Uruguay e Venezuela. 20 - Il 17 ottobre 2003, nella stessa sessione dell’approvazione della Dichiarazione sulla diversità culturale. 21 - Approvata il 4 novembre 1950, in vigore dal 3 settembre 1953. 22 - La Commissione europea per i Diritti Umani, costituita nel 1954 per vincolare maggiormente gli Stati contraenti al rispetto della convenzione, viene affiancata, nel 1959, dalla Corte europea dei Diritti Umani, per poi essere eliminata nel 1998, con la creazione della Corte unica dei Diritti dell’Uomo. 23 - In vigore dal maggio 1955. Questa Convenzione ha quale obiettivo lo sviluppo di una reciproca comprensione tra i popoli europei e un reciproco apprezzamento delle diversità culturali, la salvaguardia della cultura europea, la promozione di contributi nazionali ad un patrimonio culturale comune dell’Europa nel rispetto degli stessi valori fondamentali, incoraggiando, in particolare, lo studio delle lingue, della storia e della civiltà delle Parti della Convenzione. La Convenzione contribuisce ad un’azione concertata incoraggiando attività culturali di interesse europeo. 24 - Essa ha come obiettivo «lo sviluppo di una reciproca comprensione tra i popoli europei e un reciproco apprezzamento delle diversità culturali, la salvaguardia della cultura europea, la promozione di contributi nazionali ad un patrimonio culturale comune dell’Europa nel rispetto degli stessi valori fondamentali, incoraggiando, in particolare, lo studio delle lingue, della storia e della civiltà delle Parti della Convenzione». 25 - Benché la penetrazione europea in Africa, Asia ed Americhe abbia origini molto più lontane, (colonialismo), possiamo dire che solo nell’Ottocento ci si preoccupò di formalizzare, attraverso rapporti istituzionali gestiti dagli Stati e non più da privati, il rapporto con questi territori (imperialismo). 26 - Oltre all’India, venne insediato un governo diretto coloniale anche in Sudan e per molti aspetti anche in Egitto, soprattutto dopo l’apertura, nel 1869, del Canale di Suez.
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