1 In pratica
2 Spunti di riflessione
2.1 Punti di forza
La prospettiva dell'organizzazione Gli organizzatori dell’iniziativa riferiscono dell’ottima riuscita del progetto: la grande affluenza di pubblico durante le proiezioni, l’interesse per l’analisi critica condotta dai relatori, le richieste di replicare ancora il ciclo di documentari. La prospettiva in cui è stato progettato il ciclo di documentari "Crocevia di Sguardi" segue sostanzialmente due direttive principali.
In primo luogo, l’esigenza di aprirsi alla società civile: a seguito del ciclo triennale dei seminari Crocevia, FIERI ha ritenuto importante fornire a un pubblico – non necessariamente inserito nei circuiti accademici – momenti di conoscenza e approfondimento dei fenomeni migratori (sia emigrazione dall’Italia, che immigrazione in Italia). In secondo luogo, l’utilizzo di nuovi linguaggi: aprirsi a un pubblico di non addetti ai lavori ha reso necessario escogitare modalità comunicative differenti, più immediate e accessibili rispetto al tradizionale seminario. Viene allora scelto il documentario sociale quale principale strumento divulgativo.
Da quanto affermano gli organizzatori, la formula “proiezione del documentario-intervento del relatore” si dimostra efficace poiché in grado di soddisfare due diverse esigenze:
- l’immediata fruibilità del messaggio trasmesso;
- la possibilità di approfondire le tematiche trattate attraverso l’analisi di un relatore o di un operatore del settore.
Nel suo complesso, l’iniziativa ha permesso a un pubblico non necessariamente competente in materia di immigrazione di accostarsi al tema attraverso uno strumento di immediata fruibilità. E l’affluenza degli spettatori al cinema teatro Baretti è stata – ad ogni proiezione – decisamente alta, facendo sempre registrare il tutto esaurito. Anche gli interventi condotti dai relatori al termine dei documentari sono stati seguiti con notevole interesse, dando vita in alcuni casi, a dibattiti vivaci e ricchi.
La prospettiva di Interculture Map "Crocevia di Sguardi" costituisce un’iniziativa di sicuro rilievo all’interno dei progetti orientati all’interculturalità realizzati in Piemonte. Rappresentare le migrazioni attraverso linguaggi semplici, veloci, si è rivelata una strategia vincente, oltre che innovativa. Il documentario sociale non è una semplice rappresentazione della realtà, è un racconto per immagini. Narra autentiche storie quotidiane e permette a chi le vede non solo di immedesimarsi, ma anche di riflettere, di porsi interrogativi. Infatti, come afferma il produttore francese Thierry Garrel: "il documentario non è una macchina per vedere, è una macchina per pensare, sia per chi lo fa sia per chi lo vede. Il documentario stimola un ascolto più intenso, più attivo, introducendo a dei tempi, delle emozioni e delle riflessioni che lasciano delle tracce nella memoria dello spettatore". (www.docume.org/page/garrel.asp).
Il documentarismo sociale permette di prendere conoscenza di fenomeni sociali che – come l’immigrazione – sono oggi sotto gli occhi di tutti, ma che troppo spesso, sono rappresentati dai media generalisti in una prospettiva poco oggettiva. L’approccio con cui la macchina mediatica descrive l’immigrazione nel nostro paese – stando ad alcune importanti ricerche (su tutte Tuning into Diversity del CENSIS) – tende a oscillare tra l’allarmismo dell’”invasione” e il paternalismo delle “carrette del mare”. Documentari come quelli proposti dalla rassegna "Crocevia di Sguardi" non puntano al sensazionalismo, al contrario, fanno dell’oggettività e della scientificità il loro vero punto di forza. Offrire alla cittadinanza occasioni in cui guardare diventa riflettere, significa ampliare gli orizzonti cognitivi. La stessa immediatezza e brevità del formato documentario consente, poi, una fruizione costantemente attenta e concentrata. Un tema quale la clandestinità – sovente associato da media e political makers all’equivalenza criminalità – attraverso il documentario, può assumere connotazioni differenti: più oggettive, più consapevoli. Il documentario sociale “fa conoscere”: contrasta lo stereotipo, fornisce una comprensione meno superficiale, diventando nel contempo, potenziale strumento di denuncia sociale.
Nel panorama piemontese, e più in generale in quello nazionale, manca ancora tuttavia – come ricorda Pietro Cingolani – un’attenzione diffusa a questo tipo di prodotto. Sia per quanto riguarda il pubblico, sia per quanto riguarda televisioni, istituzioni e circuiti cinematografici. In ogni caso, utilizzare le potenzialità di questo mezzo espressivo per rappresentare le realtà migratorie si è dimostrata – come testimonia il grande successo della rassegna – una scelta davvero corretta. Che giustamente verrà ancora replicata.
La prospettiva dell'organizzazione Il principale punto di debolezza consiste nella difficoltà a reperire prodotti italiani di alta qualità contenutistica. In Italia il documentarismo sociale è sì in una fase di forte sviluppo e crescita, ma proprio per questo motivo, forse, non è ancora pienamente “maturo”. Il responsabile organizzativo dell’iniziativa lamenta infatti la complessità del ricercare validi documentari su un tema come le migrazioni, realizzati da registi italiani.
La prospettiva di Interculture Map Il documentarismo sociale, come hanno affermato gli organizzatori, in Italia è ancora una realtà poco conosciuta e poco utilizzata come strumento divulgativo. Sul tema immigrazione vengono realizzati diversi prodotti (documentari, cortometraggi, film), ma non sempre – come ricordava Cingolani – le pellicole si dimostrano qualitativamente valide: vuoi per un approccio di tipo paternalistico, vuoi per superficialità contenutistica. Affianco a questa, per ora, strutturale debolezza, la nostra analisi ci porta a individuare alcuni altri punti critici dell’iniziativa.
La rassegna "Crocevia di Sguardi" – nata proprio con l’intento di avvicinare alle tematiche migratorie un pubblico non necessariamente competente in materia – ha una durata limitata: il mese che va da settembre a ottobre. L’iniziativa non è mai stata replicata in altri contesti e in altri periodi dell’anno. A Torino esiste ad esempio, una manifestazione estiva – ormai decennale – della durata di tre mesi, chiamata “Punti Verdi”. Si tratta di una serie di eventi artistico-culturali (tra cui per l’appunto la proiezione di documentari e cortometraggi) offerti gratuitamente alla cittadinanza. Proporre "Crocevia di Sguardi" anche in realtà differenti dal Baretti (conosciuto, tra l’altro, come uno dei pochi cinema d’essai rimasti in città), secondo il nostro giudizio, avrebbe permesso quell'ulteriore ampliamento del pubblico auspicato dagli organizzatori. Facciamo questa riflessione perché altre rassegne cinematografiche aventi come tema l’immigrazione (tra tutte “Mondi vicini, mondi lontani”) ripropongono alcune pellicole in differenti iniziative organizzate durante l’intero anno.
Una seconda osservazione che ci sentiamo di muovere a "Crocevia di Sguardi" è il non coinvolgimento della popolazione straniera. Più che collaborare con le comunità nella fase di progettazione, sarebbe stato interessante invitare – affianco del relatore o dell’esperto – qualche esponente di rilievo delle comunità straniere: un rappresentante dell’associazionismo, un giornalista. Presentare al termine delle proiezioni, una testimonianza diretta, un racconto in prima persona, avrebbe suscitato ancor più interesse e ulteriori dibattiti. Non solo, probabilmente avrebbe incentivato la popolazione migrante a una maggior partecipazione all’iniziativa.
Infine, un terzo punto debole: FIERI ha ideato “un pacchetto” di servizi rivolto a pubbliche amministrazioni e scuole. L’offerta comprende: la proiezione di alcuni documentari, le schede filmografiche, l’intervento conclusivo di un esperto. Riteniamo che per quanto riguarda il mondo scuola, il “pacchetto” risulti – così strutturato – poco funzionale. Al termine della visione del documentario potrebbe rivelarsi più utile l’ideazione di attività interattive (laboratori o workshop) piuttosto che l’intervento di un relatore. Il documentario è indubbiamente un ottimo punto di partenza per svolgere educazione interculturale, ma – specialmente con un pubblico di adolescenti – è importante mantenere alto il livello di coinvolgimento. Elemento questo, che può risultare di difficile attuazione se si sceglie una metodologica tradizionale di tipo “frontale”.
|