1 In pratica
2 Spunti di riflessione
2.1 Punti di forza
La prospettiva degli organizzatori Secondo quanto riferito dagli organizzatori, la prospettiva da cui prende avvio il progetto "Corso per Referenti di Comunità Straniere" è quella di far fronte a una serie di bisogni e deficit che si segnalano nelle realtà associative dei migranti residenti a Torino. La ricerca che venne effettuata dal Centro Interculturale nel 2001, in collaborazione con l’Università di Torino, aveva evidenziato alcuni nodi problematici che l’associazionismo straniero incontra nell’espletare le sue attività. In primo luogo era emersa una conoscenza approssimativa del territorio, dei servizi, delle risorse e delle opportunità offerte dalla città. In secondo luogo si evidenziava una scarsa dimestichezza nel redigere progetti e nell’interagire con le istituzioni. Lo stesso linguaggio tecnico e burocratico – necessario alla stesura dei progetti – veniva avvertito come grave difficoltà con cui dover inevitabilmente confrontarsi. Gli input che la ricerca sull’associazionismo straniero aveva fornito divennero gli elementi sui quali venne progettato il corso di formazione.
La prospettiva generale era dunque quella di fornire ai partecipanti al corso, strumenti, competenze e metodologie utilizzabili sia nelle fasi di progettazione sia nell’interazione con le istituzioni cittadine. Fornire all’associazionismo straniero dei rappresentanti formati, consapevoli delle risorse del territorio, capaci di organizzare progetti e di interloquire con la classe dirigente, avrebbe significato un primo importante passo verso la rappresentatività – o per lo meno – verso una “cittadinanza partecipata” della popolazione immigrata. L’obiettivo che in tre anni di corso si è tentato di raggiungere era formare persone in grado di interagire attivamente con la città: rappresentare bisogni e esigenze, saper elaborare e proporre soluzioni.
L’ambizione – come riferisce la formatrice del corso Giovanna Zaldini – era quella di costituire un’associazione multiculturale con finalità “politica”: rappresentanza delle comunità straniere da un lato, ideazione, elaborazione di progetti inerenti la partecipazione e la cittadinanza dall’altro. “Se volete costruire qualcosa – era evidente che il gruppo aveva la volontà di fondare un’associazione – il vostro obiettivo non può essere solo quello di progettare e vendere servizi. Ognuno di voi è già rappresentante di un’associazione. E già in quella sede può scrivere progetti e offrire servizi. Quello che potreste realizzare è qualcosa di diverso: un’associazione con obiettivi politici in cui ognuno realizza attività a sostegno della propria comunità, ma parallelamente porta avanti – insieme a tutti gli altri – un discorso politico relativo la cittadinanza attiva”. Questo fu il suggerimento che la formatrice diede ai primi partecipanti al "Corso per Referenti di Comunità Straniere" nel 2002. L’ideale di un’associazione multiculturale attiva in ambito politico non ebbe tuttavia modo di concretizzarsi. Le ragioni, secondo Giovanna Zaldini, possono ricondursi sostanzialmente a due ordini di fattori.
- La maggioranza dei migranti è concentrata su bisogni basilari, quotidiani (abitazione, lavoro, cibo). Il discorso relativo a partecipazione, rappresentanza, cittadinanza – seppur avvertito come urgente – tende a non rientrare nelle priorità della popolazione straniera.
- E’ mancata la fiducia di lavorare in modo sinergico per portare avanti il discorso politico. "Ognuno voleva infondo tenersi stretto il suo pezzetto di territorio. Ognuno cercava – forse giustamente – di preservare il suo protagonismo, quello della sua associazione, quello della sua comunità. Non si è riusciti a disperderlo nel gruppo. E a metterlo in comune".
Il percorso per realizzare un’associazione di tale natura si era dimostrato complesso, difficoltoso. E le persone non ancora preparate per portare avanti un’iniziativa simile. I partecipanti, in ogni caso, si sono dimostrate persone interessate, motivate e preparate. Ciò ha permesso un ricco apporto in termini di relazioni, competenze, conoscenze, apertura mentale. Alcuni corsisti hanno stretto rapporti di amicizia e ora collaborano su specifici progetti e iniziative. Il corso ha dato infatti l’opportunità a persone che non avevano mai avuto rapporti con stranieri di altre nazionalità, di poter interagire e confrontarsi. Un elemento questo, importante per abbattere, o per lo meno limitare, pregiudizi e barriere.
Il "Corso per Referenti di Comunità Straniere" – continua Giovanna Zaldini – ha anche offerto concrete opportunità di crescita sia professionale che umana. Ha fornito conoscenze, visibilità, aggancio con le istituzioni, consapevolezza del lavoro in rete. Per esempio, molti dei partecipanti al corso sono stati inseriti in un progetto di ricerca ideato dal CESVOL (Centro Servizi per il Volontariato). E ad altri di loro il CESVOL ha affidato la gestione di progetti specifici. Anche la Fondazione Fitzcarraldo ha trovato nei partecipanti al corso alcuni collaboratori e consulenti. Organismi istituzionali e del privato sociale hanno contattato i corsisti per affidare loro collaborazioni legate a progetti sulla Legge 40/98. Qualcuno dei partecipanti è diventato collaboratore dell’agenzia stampa Migranews (Agenzia Informazione Immigrati Associati). Qualcun altro ha seguito un percorso politico nei sindacati. E uno di questi si è candidato per le elezioni amministrative.
Anche le comunità immigrate hanno ricevuto dei benefici, sebbene il loro grado di rappresentatività politica sia rimasto in fin dei conti invariato. Un obiettivo di rilievo che si è raggiunto è stato quello di mettere in rete le diverse comunità. Comunità che da sempre si sono caratterizzate per un forte individualismo e accentuata autoreferenzialità, hanno iniziato ad aprirsi e a interloquire le une con le altre. "Collaborare, vedere cosa fanno gli altri, fare qualcosa insieme" sembra essere ora più fattibile. Non si può ancora parlare di progetti in partenariato, ma di piccole collaborazioni sì. Un caso emblematico, che in conclusione riporta Giovanna Zaldini, è rappresentato dalla comunità filippina (in Referenti di Comunità Straniere 2002-2003 i corsisti filippini erano la terza nazionalità più rappresentata nel gruppo). Nel 2005, la comunità filippina – storicamente chiusa al suo interno – ha invitato i rappresentanti di altre associazioni e comunità straniere alla presentazione di una ricerca sulle badanti da essa realizzata. Sono passi molto piccoli, è indubbio. Ma di certo rappresentano un segnale di maggiore volontà di collaborare e dialogare.
La prospettiva di Interculture Map Il "Corso Referenti di Comunità Straniere" si segnala come un progetto di notevole rilievo, sia per gli argomenti trattati sia per la prospettiva da cui ha preso avvio. Anche l’approccio metodologico – utilizzando i dispositivi dell’intercultural learning e del cooperative learning – si dimostra interessante e innovativo. L’idea cardine su cui si è progettato il percorso formativo è quella di migliorare il rapporto tra la popolazione straniera e il sistema cittadino nel suo complesso (istituzioni, servizi, etc). Il sottotitolo del corso di formazione – “percorsi verso la cittadinanza attiva” – sintetizza bene la mission del progetto. I quattro moduli didattici forniscono ai rappresentanti dell’associazionismo migrante conoscenze e tecniche per redigere progetti e bilanci. E nello stesso tempo ha permesso a rappresentanti di istituzioni e servizi di interagire con persone straniere non identificabili con i tipici cliché che spesso vengono loro affibbiati. In sintesi, "Referenti di Comunità Straniere" ha rappresentato uno strumento utile per iniziare a instaurare un rapporto dialogico con il territorio e le istituzioni.
La conoscenza dei servizi cittadini, la capacità di rappresentare bisogni e risorse delle comunità, le competenze per ideare e realizzare un ciclo progettuale, costituiscono indubbiamente elementi in grado di migliorare la relazione tra la popolazione migrante e il sistema cittadino. Il saper esplicitare – anche istituzionalmente – i bisogni socio-culturali delle comunità e il possedere strumenti per suggerirne eventuali soluzioni può tradursi – a lungo termine – in un maggior empowerment della popolazione straniera e dunque in un innalzamento della qualità della vita.
Il percorso verso una cittadinanza attiva della popolazione migrante non è tuttavia semplice e attuabile in un breve lasso temporale. Dall’intervista condotta alla formatrice del corso è infatti emerso come in realtà il grado di rappresentatività delle comunità straniere a Torino non sia migliorato in modo rilevante. Nonostante ciò, Referenti di Comunità Straniere può forse rappresentare un primo punto di partenza, un esempio di pratica interculturale concreta, legata al territorio e esplicitamente indirizzata al miglioramento delle realtà associative degli immigrati.
Gli stessi rappresentanti delle istituzioni (Provincia e Comune di Torino), invitati come relatori al corso di formazione, hanno avuto modo di conoscere in modo più approfondito e consapevole le esigenze e le realtà delle comunità. Un elemento questo per nulla irrilevante: se da un lato è fondamentale offrire formazione ai rappresentanti delle comunità straniere, dall’altro lato è importante coinvolgere la classe dirigente, presentando, in un contesto istituzionale come il Centro Interculturale, persone capaci di rapportarsi in modo propositivo e consapevole con la città.
Le tematiche affrontate nel corso di formazione (cittadinanza, rappresentanza, comunicazione, progettazione) sono state presentate con un approccio e una metodologia interculturale. L’interculturalità – intesa come pratica pedagogica e come strumento di dialogo socio-culturale – ha infatti rappresentato il filo rosso del progetto formativo. Sotto questa prospettiva, uno dei risultati di maggior rilievo raggiunto dal corso è stato proprio quello di “mettere in rete” – o per lo meno far conoscere tra loro – associazioni e comunità straniere caratterizzate da accentuata autarchia e impermeabilità. Ad oggi non si può ancora parlare di rapporti sinergici, ma si registra una disponibilità maggiore alla collaborazione su diverse iniziative.
Il "Corso Referenti di Comunità Straniere" ha poi offerto sbocchi lavorativi qualificati ai suoi partecipanti. Un risultato questo, tutto sommato collaterale, ma non privo di importanza. Infine, un ulteriore elemento da sottolineare è il rapporto diretto, concreto che i corsisti hanno intrattenuto con la città: da un punto di vista storico-artistico (la visita guidata a Torino) e da un punto di vista sociale (conoscenza dei servizi, confronto con esponenti della classe dirigente e delle istituzioni).
La prospettiva degli organizzatori Dall’intervista realizzata alla formatrice del corso, le maggiori difficoltà che si sono riscontrate sono quelle relative agli aspetti organizzativo-logistici. Come ha infatti ammesso Giovanna Zaldini, alcuni dei partecipanti hanno ricevuto una formazione al quanto parziale e non continuativa. Ciò soprattutto a causa di vincoli lavorativi e familiari, di abitazioni molto distanti dal Centro Interculturale. Di conseguenza presupposti come il “contratto formativo” (rispetto dei tempi e degli orari) sono venuti decisamente meno. Si è inoltre registrata una forte dispersione tra i partecipanti: la maggior parte di loro, infatti, non è riuscita a mantenere contatti di collaborazione, di amicizia. L’elemento critico su cui si è a lungo soffermata la formatrice, è stato lo scarso miglioramento della rappresentatività delle comunità. Il corso di formazione ha sì offerto agli aspiranti referenti alcuni strumenti per la progettazione e il dialogo con le istituzioni, ma non è riuscito a innalzare – proprio attraverso la formazione dei referenti – la qualità della vita politica delle comunità. Durante la prima edizione del corso ai partecipanti era stata anche suggerita l’idea di un’associazione multiculturale con finalità politica. La proposta, seppur accolta inizialmente con entusiasmo, non è stata tuttavia realizzata.
La prospettiva di Interculture Map Il "Corso Referenti di Comunità Straniere", pur rappresentando un’iniziativa di forte rilievo e innovazione, non è riuscito a raggiungere il suo obiettivo primario: migliorare in modo sostanziale la partecipazione socio-politica delle comunità straniere presenti in città. L’obiettivo prefissato è ambizioso e richiede il coinvolgimento – sul lungo periodo – di diversi soggetti e realtà: le comunità di immigrati, le istituzioni, la classe dirigente. L’empowerment della popolazione migrante è infatti una strategia che richiede un lasso temporale consistente e un’azione congiunta su svariati livelli: quello delle comunità, delle istituzioni, delle politiche locali, dell’opinione pubblica. La cittadinanza attiva è un processo sociale che non è concretizzabile attraverso un corso di formazione, seppure di alto livello contenutistico e metodologico.
"Referenti di Comunità Straniere" è voluto essere – come esplica il sottotitolo del progetto – un percorso “verso”, un primo passo per prendere coscienza di bisogni e risorse, di possibili proposte e soluzioni. Uno strumento, in altre parole, per gettare le basi: formare gli stranieri a rappresentare – a livello istituzionale – esigenze e ad escogitarne soluzioni. E in parallelo preparare la città a richieste “nuove”, elaborate da “nuovi” interlocutori. A riprova della strutturale assenza di partecipazione delle comunità, può essere ricordata la mancata realizzazione di quella associazione multiculturale – di natura politica – suggerita nel 2002 dalla formatrice Giovanna Zaldini. Ella stessa ne rintraccia una causa nell’ancora scarsa fiducia che si avverte nei rapporti tra le diverse comunità. Ma non solo: in generale la vita dei migranti di oggi (e quella dei loro eventuali referenti) sembra ancora caratterizzarsi dalle problematicità del “qui ed ora” (casa, cibo, lavoro). La loro è una cittadinanza ancora precaria, lontana dal definirsi attiva, partecipata. Di conseguenza prevale una logica centrata quasi esclusivamente sulle esigenze della propria comunità e del proprio gruppo. Una visione politica aperta anche alle altre comunità, e dunque di stampo davvero interculturale, appare ad oggi piuttosto lontana. E comunque non ancora avvertita come urgente.
Uno dei messaggi che "Referenti di Comunità Straniere" ha cercato di veicolare era proprio lo stimolo a “mettere insieme”, a unire in una rete le comunità, ricercando comuni denominatori, stimolando comuni progettazioni. Un modello questo, che non ha ancora funzionato appieno, ma che – ed è indubbio – ha tracciato una linea guida. Un percorso, appunto, per tradurre – con il tempo e con politiche sociali progressiste – evidenti potenzialità in concrete azioni.
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